Vai al contenuto

4

Imporre il proprio pensiero, distorcere la realtà, piegare le verità, ripulire le mani, cancellare ciò che è stato detto e ridisegnare ciò che è accaduto. E' la roadmap con cui il sottosegretario Carlo Giovanardi vuole cambiare a tutti i costi il corso della storia. Quella già scritta sulla Strage di Ustica del 27 giugno 1980, mettendo in discussione la libertà di espressione e riscrivendo, a modo proprio, vent'anni d'inchieste e perizie. E chi non la pensa come lui, è bene che si allinei. Cominciando dal contenuto di un opuscolo distribuito fino a qualche giorno fa al "Museo per la Memoria di Ustica" di Bologna che raccontava, chiaramente e in poche righe, la disgraziata storia del Dc9 Itavia. Ricordava, ad esempio, che nel '89 la Commissione parlamentare sulle Stragi presieduta dal senatore Libero Gualtieri segnalò, censurandoli, i comportamenti dei militari in servizio presso alcuni centri radar "volti ad occultare ciò che era avvenuto quella sera nei cieli del Tirreno". "Come la Commissione, anche la magistratura - scrivevano l'Istituto Parri e MamBo in quel depliant - ritenne che la mancata ricostruzione della cause del disastro fosse stata orchestrata per mezzo di depistaggi ed inquinamenti delle prove ad opera di appartenenti all'Aeronautica Militare italiana". E ancora: "In tale contesto, un episodio di guerra guerreggiata e occultata, nell'ambito della Guerra fredda e del confronto con la Libia, ha causato la perdita col Dc9 Itavia delle 81 vite che trasportava, e ha motivato i vertici dell'Aeronautica Militare, e di parte dello stesso Stato, a preferire i vincoli delle alleanze militari internazionali piuttosto che la lealtà verso il loro proprio Stato e le sue proprie istituzioni democratiche. Essi hanno ritenuto di dover essere fedeli al patto militare prima che al loro paese". Ed è proprio il passaggio sulla "doppia lealtà" che disturba Giovanardi, tanto da spingere il Comune di Bologna a togliere dalla circolazione quel depliant. ...continua a leggere "Il depliant che non piace all’Aeronautica"

Ci penso ogni volta che affronto i gradini della scaletta di un aereo. Penso a quei quattordici passeggeri del volo YV-2081 della Transaven che il 4 gennaio di tre anni fa andavano dall'aeroporto di Maiquetía di Caracas a Los Roques. Ricordate? Sono scomparsi nel nulla e nessuno ne parla più. Penso sempre che l'aereo su cui sono appena salito possa precipitare, perché, diciamocelo chiaramente, quello che può accadere volando lo metti in conto ogni volta che la tua ombra si stacca da terra. Può accadere ogni cosa, e questo pensiero ti abbandona solo quando le ruote sono di nuovo sulla pista e ti viene da applaudire, se l'atterraggio è stato morbido. Spezzi così la tensione e con testa e gambe sei già a correre al nastro dei bagagli. Ma il tema, stavolta, non è né la fatalità né il destino, perché quella che sto per raccontare, purtroppo, è un'altra storia. Che fine hanno fatto quei 14 passeggeri? Quell'aereo dov'è finito? In che punto del Mar dei Caraibi è affondato? E più che altro: dove sono le prove che sia finita davvero così? E ancora: perché nessuno parla più di Fabiola e Stefano e degli altri sei italiani scomparsi insieme a loro?
La storia del volo Transaven è cortissima: inizia e finisce nello stesso momento. Alle 9.38, ora di Caracas (le 15.08 in Italia). L'aereo è un bimotore a elica, modello Let-410, costruito nel 1987. Decolla da Caracas, è diretto nel paradiso di Los Roques e deve atterrare, circa mezzora dopo, a Gran Roque, l'isola più grande dell'arcipelago caraibico. Il pilota è venezuelano, si chiama Esteban Lahoud Bessil Acosta, ha 36 anni. L'ultima comunicazione con la torre di controllo avviene intorno alle 9.28, quando l'aeromobile è a circa 45 miglia nautiche dalla meta (circa 83 km) ed è livellato a una quota di 7.500 piedi (circa 2.290 metri). A bordo ci sono 14 persone tra passeggeri e membri dell'equipaggio. C'è il copilota, anche lui venezuelano, Osmel Alfredo Avila Otamendi, 37 anni, e 12 passeggeri, di cui 8 sono italiani: Stefano Fragione, 33 anni, sua moglie, Fabiola Napoli di 34, sono romani e sono in viaggio di nozze. C'è la famiglia di Ponzano Veneto: Paolo Durante, la moglie Bruna Guernieri e le due figlie, Sofia di 6 anni ed Emma di 8; poi Annalisa Montanari di 42 anni e Rita Calanni, di 46, di Bologna. Infine ci sono anche un turista svizzero, Alexander Niermann, e tre cittadini venezuelani: Karina Ruiz, Yza Rodriguez Fernandez e Patricia Estela Alcala Kirschner. ...continua a leggere "I dimenticati di Los Roques"

1

Dunque l'onorevole Aurelio Misiti, 76 anni da Melicucco, la cittadina calabrese di cui fu anche sindaco tra il '68 e il '71, è stato nominato sottosegretario di Stato del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Corona così un percorso politico davvero poco lineare: da comunista a ondivago tra destra e sinistra, in particolare nella politica regionale della Calabria, ma anche segretario confederale della Cgil laziale tra il '78 e l'81. Infine, nel 2007, approda in Parlamento, tra le fila dell'Idv di Antonio Di Pietro, per finire direttamente al Mpa di Raffaele Lombardo e in volata sui banchi del Governo. Un percorso che Misiti aveva illustrato con un'esplicativa intervista a Repubblica, il 3 febbraio scorso, dove aveva esordito, riferendosi all'eterna campagna acquisti di Berlusconi, dicendo: «Mi faccia ministro, anche sottosegretario può andare. Se non gli garba mi nomini delegato del governo. Ma prima si presenti con i soldi. Venti miliardi di euro e passo con lui». Misiti è uno pratico, che bada solo alla sostanza delle cose: «Io vado a progetto, sto con chi accetta, non vado alle cene. Berlusconi mi cerca solo per fare numero, ha le necessità contingenti del voto sulla giustizia. A me, se permette, interessa altro». E poi l'elenco della spesa: «l'alta velocità ferroviaria da Salerno a Palermo, il governo deve mettere sul piatto i 20 miliardi di euro di fondi Fas che ha tolto al Sud». ...continua a leggere "Misiti, da Ustica al Governo"

Qualche mese fa ho ricevuto una telefonata, arrivava da Palazzo Chigi: «Colarieti? E' la segreteria del sottosegretario Giovanardi». Un attimo dopo, dall'altra parte dell'apparecchio, c'era proprio lui. La cordiale chiacchierata durò una decina di minuti e il tema era la Strage di Ustica. «E' stata una bomba», mi ripeteva Giovanardi con tono concitato, «abbiamo le prove e lei, con il suo sito, continua a ripetere che quella sera c'è stata una battaglia aerea e che il Dc9 fu abbattuto da un missile. Guardi che è tutto falso, intorno al Dc9 non c'erano altri aerei nel raggio di centinaia di chilometri».
Di telefonate così ne ho ricevute altre, l'ultima il 9 dicembre 2010: «Lei crede alle favole e agli asini che volano», mi ha ripetuto Giovanardi. Non so perché, anche se posso immaginarlo, da un po' di tempo il sottosegretario continua a ripetere le stesse cose, arrivando anche a minacciare querele a chi non la pensa come lui. L'ha fatto nel corso di una conferenza stampa a Bologna (il 22 novembre 2010), lo ha ripetuto rispondendo a un'interrogazione alla Camera (il successivo 2 dicembre) e ribadito intervenendo in diversi convegni. Secondo l'esponente del Governo - lo stesso Governo che a luglio dello scorso anno ha controfirmato le rogatorie promosse dalla Procura di Roma (che indaga ancora sul caso Ustica) verso Francia, Belgio, Germania e Stati Uniti - qualcuno mise una bomba nella toilette del Dc9 Itavia che il 27 giugno 1980, mentre percorreva la tratta Bologna-Palermo, precipitò nel mare di Ustica con 77 passeggeri e 4 membri dell'equipaggio a bordo. ...continua a leggere "Quella strana bomba nella toilette del Dc9"