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Chi manovrava le Brigate Rosse?

Chi manovrava le Brigate Rosse? Chi c’era dietro l’Istituto linguistico Hyperion di Parigi? E quali legami aveva la Hyperion con il terrorismo internazionale? Articoli, saggi, inchieste giudiziarie, sentenze, testimonianze: abbondano analisi e ricostruzioni della storia sulla più potente e sanguinaria organizzazione terroristica italiana, le Brigate Rosse. Eppure sono ancora molte le lacune, i passaggi non chiariti, i personaggi rimasti nell’ombra. Un nuovo saggio, in libreria da alcune settimane, tenta di fare luce su questi aspetti ripercorrendo la storia e le inchieste degli ultimi trent’anni. Lo firmano il giudice Rosario Priore, protagonista di alcuni dei più importanti processi della nostra storia, dall’attentato al Papa alla strage di Ustica, e il giornalista Silvano De Prospo. Lo fanno collegando a doppio filo la storia delle BR, sin dai suoi esordi, con quella di un gruppo di persone di cui ancora troppo poco si è scritto: Corrado Simioni, Duccio Berio e Vanni Mulinaris, fondatori agli inizi degli anni Settanta del Superclan – misteriosa organizzazione clandestina nata come costola delle Brigate Rosse – successivamente riparati a Parigi, e qui diventati insegnanti di lingue in un istituto, il centro Hyperion, su cui grava da decenni un sospetto: che fosse un centro di coordinamento dell’eversione internazionale.
Attraverso un meticoloso lavoro sulle fonti storiche e giudiziarie, “Chi manovrava le Brigate Rosse?” (Ed. Ponte alle Grazie, 12,41 euro) riesce a dare riscontro fondato all’ipotesi che le BR non agissero in autonomia, ma che dietro all’organizzazione si muovesse un reticolo d’interessi legato al terrorismo internazionale, agli apparati dello Stato italiano, al lavorio incessante dei principali Servizi stranieri.
Sulla scuola Hyperion si è scritto molto. Le prime informazioni sulla sua esistenza risalgono alla fine degli anni ’70. Una “struttura” – secondo un’analisi elaborata dal Sisde all’inizio degli anni ’80, già declassificata nella seconda metà degli anni ’90 su richiesta della magistratura – che aveva il compito di coordinare le azioni dei vari gruppi eversivi operanti in Europa (Ira, Eta, Napap, Raf), al fine di inquadrarle in un unico processo di destabilizzazione dell’Alleanza Atlantica e delle democrazie occidentali.
Il nucleo essenziale di questa “struttura” francese era l’Istituto linguistico Hyperion (Parigi), che svolgeva anche opera di mediazione per l’organizzazione d’incontri tra terroristi italiani e stranieri (palestinesi, tedeschi, irlandesi) che, per motivi di sicurezza, si tenevano solitamente in territorio francese. Incontri cui partecipavano anche brigatisti italiani di spicco: Mario Moretti, Anna Laura Braghetti, Vincenzo Guagliardo e Giovanni Senzani.
Ed è lo stesso Moretti, la mente del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro, ad accennare, in un suo libro, ai contatti che le BR ebbero con altre organizzazioni internazionali (in particolare la Raf, l’Eta e l’Olp) all’indomani della strage di via Fani. Contatti che furono stabiliti a Parigi, dove Moretti, nell’estate del ’78, incontrò un misterioso rappresentante dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, la cui identità è ancora oggi sconosciuta.
Le BR avevano bisogno di armi ed esplosivi, ma anche di assistenza per i latitanti all’estero e l’accesso ai campi di addestramento in Libano, e questi aiuti potevano giungere solo dai palestinesi. L’Olp, in cambio, prospettò alle BR la possibilità di compiere, su suolo italiano, attentati contro obiettivi israeliani ed ebraici. Le armi giunsero in Italia nell’estate del ‘79, dopo un viaggio di Moretti e di altri tre brigatisti a Cipro, imbarcate su un panfilo (il Papago) di proprietà di uno psichiatra di Falconara, il dottor Massimo Gidoni. Il carico comprendeva mitra Sterling, fucili Fal e svariati quintali di esplosivo al plastico, materiale che in parte venne distribuito alle varie colonne delle Brigate Rosse e in parte occultato in Sardegna e nel deposito di Montello (Treviso).
Traccia di tutto ciò è ancora nelle memorie di Mario Moretti: “…. Avevamo in Francia dei compagni espatriati alcuni anni prima, che erano in grado di collegarci con tutti i movimenti rivoluzionari d’una certa consistenza. […] Eravamo molto interessati all’Eta e moltissimo al movimento di liberazione della Palestina. […] Quel che ci interessava era il rapporto politico, di fraternità, fare qualcosa per l’Olp. […] Ci imbarcammo sul “Papago” […] Salpammo da Ancona per Cipro, dove aspettammo l’appuntamento […] Il giorno convenuto ci incontrammo al largo di Tripoli nel Libano, e trasbordammo da una barca all’altra le armi che erano state preparate in sacchi di iuta. I palestinesi si sorpresero che preferissimo fare il carico in mare, perché in quel momento avevano il controllo di parte della città […] Le armi presero strade diverse, una parte venne distribuita nelle basi di ogni colonna. [Le armi per l’Ira] le depositammo in Sardegna. Con l’aiuto di Barbagia Rossa, una formazione combattente radicata nel nuorese e che disponeva di una rete capillare tra i pastori della zona”.

di Fabrizio Colarieti per Notte Criminale [link originale]

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