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I dimenticati di Los Roques

Ci penso ogni volta che affronto i gradini della scaletta di un aereo. Penso a quei quattordici passeggeri del volo YV-2081 della Transaven che il 4 gennaio di tre anni fa andavano dall'aeroporto di Maiquetía di Caracas a Los Roques. Ricordate? Sono scomparsi nel nulla e nessuno ne parla più. Penso sempre che l'aereo su cui sono appena salito possa precipitare, perché, diciamocelo chiaramente, quello che può accadere volando lo metti in conto ogni volta che la tua ombra si stacca da terra. Può accadere ogni cosa, e questo pensiero ti abbandona solo quando le ruote sono di nuovo sulla pista e ti viene da applaudire, se l'atterraggio è stato morbido. Spezzi così la tensione e con testa e gambe sei già a correre al nastro dei bagagli. Ma il tema, stavolta, non è né la fatalità né il destino, perché quella che sto per raccontare, purtroppo, è un'altra storia. Che fine hanno fatto quei 14 passeggeri? Quell'aereo dov'è finito? In che punto del Mar dei Caraibi è affondato? E più che altro: dove sono le prove che sia finita davvero così? E ancora: perché nessuno parla più di Fabiola e Stefano e degli altri sei italiani scomparsi insieme a loro?
La storia del volo Transaven è cortissima: inizia e finisce nello stesso momento. Alle 9.38, ora di Caracas (le 15.08 in Italia). L'aereo è un bimotore a elica, modello Let-410, costruito nel 1987. Decolla da Caracas, è diretto nel paradiso di Los Roques e deve atterrare, circa mezzora dopo, a Gran Roque, l'isola più grande dell'arcipelago caraibico. Il pilota è venezuelano, si chiama Esteban Lahoud Bessil Acosta, ha 36 anni. L'ultima comunicazione con la torre di controllo avviene intorno alle 9.28, quando l'aeromobile è a circa 45 miglia nautiche dalla meta (circa 83 km) ed è livellato a una quota di 7.500 piedi (circa 2.290 metri). A bordo ci sono 14 persone tra passeggeri e membri dell'equipaggio. C'è il copilota, anche lui venezuelano, Osmel Alfredo Avila Otamendi, 37 anni, e 12 passeggeri, di cui 8 sono italiani: Stefano Fragione, 33 anni, sua moglie, Fabiola Napoli di 34, sono romani e sono in viaggio di nozze. C'è la famiglia di Ponzano Veneto: Paolo Durante, la moglie Bruna Guernieri e le due figlie, Sofia di 6 anni ed Emma di 8; poi Annalisa Montanari di 42 anni e Rita Calanni, di 46, di Bologna. Infine ci sono anche un turista svizzero, Alexander Niermann, e tre cittadini venezuelani: Karina Ruiz, Yza Rodriguez Fernandez e Patricia Estela Alcala Kirschner.
Il mayday il pilota lo lancia proprio alle 9.38, quando il bimotore è a circa 30 chilometri da Los Roques, livellato a 3.000 piedi e già in fase d'atterraggio. La ricostruzione ufficiale dirà che aveva entrambi i motori in avaria, forse per un problema con il carburante. Il comandante fa appena in tempo ad avvisare la torre che tenterà l'ammaraggio, poi il silenzio assoluto, nessuna comunicazione, nessuna risposta. L'ultima traccia nota è fissata alle coordinate 11º 40´ 47.9´´ N - 066º 44´ 08.3´´ W. E' il punto dove Fabiola e Stefano e gli altri dodici passeggeri scompaiono nel nulla, per sempre. Mezz'ora dopo un altro bimotore, gemello di quello appena scomparso, sorvola la zona riportando alla torre la posizione di una vasta macchia d'olio e carburante che coincide con le coordinate dell'ultimo contatto radio lanciato dal volo YV-2081. Cinque ore dopo, sono ormai le 17 passate, un oggetto di colore bianco galleggia a circa 24 miglia nautiche da Maiquetía, sembra un pezzo del bimotore, ma non lo è. Il 5 gennaio, 24 ore dopo la scomparsa del volo Transaven, nessuno sa cosa è accaduto. Non lo sanno le autorità locali e non lo sanno i familiari dei 14 dispersi. C'è solo un'ipotesi, la stessa che tiene banco ancora oggi: l'aereo potrebbe aver ammarato ma a causa dell'impatto con l'acqua, e dei danni causati alle strutture, nessuno degli occupanti sarebbe riuscito ad abbandonare l'aeromobile. Detta così - come sembra e come sostengono le autorità venezuelane - il bimotore è diventato la tomba di quei 14 passeggeri. Due giorni dopo avviene un altro avvistamento in mare: un elicottero della Guardia Nazionale individua alcuni oggetti nello stesso tratto di mare, però anche questa volta si tratta di rottami che non hanno nulla a che fare con il volo scomparso. La compagnia telefonica satellitare Movistar conferma alle autorità che circa 8 ore dopo l'ultimo contatto radio (quello delle 9.38) uno dei passeggeri avrebbe tentato di lanciare una chiamata dal suo cellulare. Ventiquattro ore dopo l'incidente accade un fatto davvero inquietante: i familiari di Annalisa Montanari provano a chiamare il suo cellulare, ai primi due tentativi entra in funzione la segreteria telefonica, al terzo il telefono squilla, segnale libero, ma nessuno risponde. Qualcuno afferma che anche il telefono della madre del pilota abbia ricevuto una chiamata dal figlio a ventiquattro ore dall'incidente. Il 14 gennaio, a una decina di miglia al largo delle coste della penisola del Paraguay, in un punto che si trova a oltre 300 chilometri da Caracas, alcuni pescatori recuperano il corpo del copilota, Osmel Alfredo Avila Otamendi, che sarà riconosciuto attraverso le impronte dentarie e un orologio, per gli inquirenti è lui e non serve l'esame del Dna. Il mare restituirà solo il suo corpo e nient'altro.
Che fine hanno fatto? Perché, dopo le prime settimane di frenetiche ricerche, le autorità venezuelane hanno smesso di cercare il volo YV-2081?. E' la stessa domanda gridata ancora oggi dai familiari delle vittime italiane. «Chiedo solo una cosa: che fine hanno fatto mia figlia, mio genero, le mie due nipoti? ». Sono le parole pronunciate l'11 gennaio scorso da Romolo Guernieri, il padre di Bruna e il nonno di Emma e Sofia, le due bimbe che con la madre e il padre, Paolo Durante, erano in volo su Los Roques. «Non è possibile che dopo tre anni non si sappia che fine abbia fatto un aereo». Romolo Guernieri, insieme agli altri familiari delle vittime, cerca la verità e la pretende in particolare dai venezuelani. Il presidente Hugo Chavez si era impegnato a fare tutto il possibile, anche in un'occasione ufficiale, incontrando a Caracas l'allora presidente della Camera Fausto Bertinotti, aveva promesso che le ricerche sarebbero ripartite. L'ultimo tentativo è del 3 settembre 2010, quando ormai sembrava cosa fatta, poi l'avvio delle ricerche è stato rinviato e da allora non sono mai più riprese. Ugo Marino, rappresentante di Andi Latinoamericana, impresa associata alla statunitense C&C Tecnology incaricata delle ricerche, un anno fa dichiarò all'Ansa che la nave "Miss Ginger", che doveva compiere l'operazione, era rimasta bloccata nel Golfo del Messico a causa dell'uragano Earl. Secondo il piano di recupero, elaborato da esperti italiani e venezuelani, la nave, dotata di strumenti di altissima tecnologia, doveva procedere per dieci giorni scandagliando il fondale attorno all'isola a profondità non raggiunte durante le precedenti indagini. «Le perlustrazioni - aveva spiegato Marino sempre all'Ansa - si svolgeranno su un'area di 10 miglia marine fino ad una profondità di 3.000 metri, mentre le precedenti erano arrivate a 600». Costo dell'operazione: 4,6 milioni di dollari, coperti in parti uguali dal governo italiano e da quello di Caracas. Le ricerche sono bloccate e a tutt'oggi nessuno è sceso ancora in fondo al mar di Los Roques a cercare la verità. Forse, ma non è ancora certo, riprenderanno quest' estate. «Spero sia davvero così», racconta Debora Napoli, che su quell'aereo ha perso sua sorella, Fabiola, che era in luna di miele con il marito Stefano. «Noi non ci fermeremo di fronte a nulla e a nessuno - prosegue Debora -, vogliamo la verità e siamo pronti a lottare ancora per ottenerla. In questa storia ci sono troppi interessi, c'è troppa politica, troppi silenzi, ma siamo pronti a tornare anche a Caracas».
E' tecnicamente possibile che un velivolo s'inabissi in mare e scompaia per sempre? Alla domanda risponde Luigi Di Stefano, esperto di incidenti aerei, già consulente della compagnia Itavia nel disastro di Ustica: «Ci sono due possibilità: l'aereo "ammara", cioè il pilota riesce a "posarlo sull'acqua", rimane integro e galleggia per un certo tempo, i passeggeri escono e rimangono aggrappati all'aereo finché questo non affonda. Se indossano i salvagente e i soccorsi non li hanno ancora raggiunti, dopo alcune ore potrebbero morire per ipotermia, ma comunque i loro corpi possono essere ritrovati. Se non hanno i giubbotti salvagente - prosegue Di Stefano - annegano e sprofondando, perché i gas di necrosi che si formano dopo la morte non possono espandersi e quindi il corpo non può tornare a galla. Seconda ipotesi: l'aereo colpisce l'acqua con violenza, si distrugge e i passeggeri muoiono all'istante. Restano a galla sia i frammenti del velivolo sia i cadaveri dei passeggeri (un corpo umano morto all'istante galleggia, un corpo umano annegato sprofonda perché perde l'aria che aveva nei polmoni). Detto questo - va avanti l'esperto - rispondo alla vostra domanda con una considerazione: l'aereo era un bimotore che sembra fosse sovraccarico. Se ha avuto un'avaria a uno dei motori non aveva potenza sufficiente per continuare il volo. Ha perso quota finché il pilota è riuscito ad ammarare. Ma poi sono annegati tutti e l'aereo è sprofondato, e ovviamente nessuno aveva i salvagente. E' l'unica spiegazione possibile. Oppure, sono finiti fuori rotta e le ricerche compiute finora sono state condotte nel posto sbagliato». C'è un'altra ipotesi, assai fantasiosa, ma che è pur sempre plausibile in assenza di altre prove, cioè che il volo della Transaven sia stato sequestrato da bande di narcotrafficanti o, ancora, che i sopravvissuti siano finiti su un'isola deserta e che vivano di stenti, in attesa di soccorsi, come nel serial "Lost".
In questa storia c'è anche un precedente inquietante, un altro incidente fotocopia: il 2 marzo 1997 un Cessna, in volo sulla stessa tratta Caracas-Los Roques, con a bordo anche due italiani, Mario Parolo e sua moglie Teresa De Bellis, non arriva a destinazione e scompare nel nulla. L'aereo era della compagnia Chapi Air, poi diventata Transaven. E come nel caso del volo YV-2081 di quell'aereo non sono mai stati trovati i resti e il mare, anche in questo caso, ha restituito solo un corpo: quello di un passeggero australiano, con la testa fracassata ma, stranamente, senza acqua nei polmoni. E in questo caso di anni, senza alcuna verità, ne sono passati 14.

di Fabrizio Colarieti per cadoinpiedi.it

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