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Nessun passo indietro, anzi. Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, intende rimanere un “partigiano della Costituzione”, con tanto di tessera dell’Anpi in tasca. Dopo la sua provocazione al congresso del Pdci di Rimini e le polemiche che lo hanno investito, facendo irritare anche l’Anm e spingendo il Consiglio superiore della magistratura ad aprire un fascicolo, al Punto il procuratore aggiunto di Palermo racconta che ne è valsa la pena. A chi, poi, lo vorrebbe in politica, magari come sindaco del capoluogo siciliano, risponde «no grazie», e al nuovo governo chiede ascolto e dialogo per continuare a lottare contro Cosa Nostra.
Dottor Ingroia, le sue parole al congresso del Pdci le sono costate l’apertura di un’inchiesta da parte del Csm. Ne è valsa la pena definirsi un “partigiano della Costituzione”?
«Per ora si parla dell’apertura di un fascicolo del Csm per una presunta incompatibilità ambientale, anche se non ho ancora capito con chi. Comunque sì, ne è valsa la pena, ne sono assolutamente convinto. Credo ne valga la pena in ogni occasione nella quale c’è modo di esprimere la propria posizione di difesa della costituzione, dei suoi principi e del diritto di ogni cittadino, magistrati compresi, di svolgere un ruolo di difesa della Carta costituzionale. In qualunque sede e a qualunque costo. Ho giurato sulla costituzione e la difenderò sempre, anche a costo di essere investito dalle polemiche ogni qualvolta che mi trovo a difenderla. Come ho già detto sono abbastanza sereno, sono convinto di aver esercitato un mio diritto e perciò non ho nulla da temere».
Ma non crede che iniziative di questo tipo rischino di dare troppi argomenti a quanti puntano il dito contro le toghe politicizzate?
«Sì, sono consapevole che c’è questo rischio. Tuttavia non mi rassegno che di fronte al rischio di accuse strumentali e pretestuose debbano innescarsi meccanismi di autocensura, e quindi, di fatto, un arretramento rispetto ai nostri sacrosanti diritti. Non solo come magistrato, ma non intendo rassegnarmi anche come cittadino. Non posso e non devo rinunciare ai miei diritti soltanto perché c’è qualcun altro che, in modo pretestuoso e strumentale, afferma che ogni volta che esercito questo diritto sto commettendo un abuso. Essendo il mio un diritto, e non un abuso, rivendico, perdoni il gioco di parole, il diritto di esercitare ogni mio diritto». ...continua a leggere "In trincea col partigiano Ingroia"

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Imporre il proprio pensiero, distorcere la realtà, piegare le verità, ripulire le mani, cancellare ciò che è stato detto e ridisegnare ciò che è accaduto. E' la roadmap con cui il sottosegretario Carlo Giovanardi vuole cambiare a tutti i costi il corso della storia. Quella già scritta sulla Strage di Ustica del 27 giugno 1980, mettendo in discussione la libertà di espressione e riscrivendo, a modo proprio, vent'anni d'inchieste e perizie. E chi non la pensa come lui, è bene che si allinei. Cominciando dal contenuto di un opuscolo distribuito fino a qualche giorno fa al "Museo per la Memoria di Ustica" di Bologna che raccontava, chiaramente e in poche righe, la disgraziata storia del Dc9 Itavia. Ricordava, ad esempio, che nel '89 la Commissione parlamentare sulle Stragi presieduta dal senatore Libero Gualtieri segnalò, censurandoli, i comportamenti dei militari in servizio presso alcuni centri radar "volti ad occultare ciò che era avvenuto quella sera nei cieli del Tirreno". "Come la Commissione, anche la magistratura - scrivevano l'Istituto Parri e MamBo in quel depliant - ritenne che la mancata ricostruzione della cause del disastro fosse stata orchestrata per mezzo di depistaggi ed inquinamenti delle prove ad opera di appartenenti all'Aeronautica Militare italiana". E ancora: "In tale contesto, un episodio di guerra guerreggiata e occultata, nell'ambito della Guerra fredda e del confronto con la Libia, ha causato la perdita col Dc9 Itavia delle 81 vite che trasportava, e ha motivato i vertici dell'Aeronautica Militare, e di parte dello stesso Stato, a preferire i vincoli delle alleanze militari internazionali piuttosto che la lealtà verso il loro proprio Stato e le sue proprie istituzioni democratiche. Essi hanno ritenuto di dover essere fedeli al patto militare prima che al loro paese". Ed è proprio il passaggio sulla "doppia lealtà" che disturba Giovanardi, tanto da spingere il Comune di Bologna a togliere dalla circolazione quel depliant. ...continua a leggere "Il depliant che non piace all’Aeronautica"