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In uno straordinario film del principe De Curtis, Totò Peppino e la malafemmina, l’ignorante Antonio Capone, contadinotto di un paese campano del primo dopoguerra, collocava Milano in Calabria. Oggi qualcuno potrebbe non dargli più torto. Il capoluogo lombardo e l’intera regione sembrano infatti diventate la sesta provincia della Calabria. Anzi, la quattordicesima circoscrizione di Reggio Calabria. A spulciare le ultime inchieste di ’ndrangheta condotte dalla magistratura meneghina, l’unica conclusione è questa: la più potente organizzazione criminale al mondo ha colonizzato la capitale morale del Paese. I suoi tentacoli soffocano gli ingranaggi del motore economico e politico d’Italia, la cui spina dorsale – cioè le imprese, stando ai risultati delle più recenti indagini giudiziarie – ha assimilato talmente bene la linfa della malapianta cresciuta su questo disgraziato lembo del Mediterraneo al punto da non aver mai denunciato né collaborato con la magistratura. Mai. Al Nord la ’ndrangheta controlla militarmente strade e quartieri, anche con le bombe se serve. Tanto nessuno denuncia. Nell’ordinanza dell’ultima operazione firmata dal pool antimafia milanese si legge: madundrina. ...continua a leggere "O mia bella Madu’ndrina"

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Banda della MaglianaProvate a digitare su GoogleBanda and Magliana. Oppure, se avete la fortuna di avere a disposizione un motore di ricerca semantico (cioè uno di quei software crawler comunemente utilizzati dall’intelligence per setacciare le “fonti aperte” e correlare le informazioni partendo dal loro significato), divertitevi ad approfondire l’argomento. Perché – sarà un caso – da un po’ di tempo anche le macchine si sono ammalate di dietrologia e le open source, pur non essendo dotate di propria intelligenza, ce la stanno mettendo tutta per rendere più chiaro uno scenario che per decenni è parso annebbiato e viziato. Ed è un peccato che in rete ci siano ancora pochi atti giudiziari, indicizzati e taggati, a raccontare, a chi resta affascinato da figure come quelle del Freddo o del Libanese, la storia e le gesta della più potente organizzazione criminale che abbia mai operato a Roma. ...continua a leggere "Il Vecchio, Zeta e Pigreco tra (poca) fiction e (tanta) realtà"

Chiamatela dietrologia, oppure antiamericanismo. Ma resta un dato di fatto: anche in questa brutta storia i nostri fedeli alleati americani ci sono entrati con le mani e con i piedi. È stata colpa loro? Chi può dirlo. Ma di certo, quella sera, mentre i 140 tra passeggeri e membri dell’equipaggio del Moby Prince andavano a morire contro quella petroliera, gli americani nel porto e alla rada di Livorno c’erano eccome. Così la tragedia di quel traghetto è diventata, nel tempo, la “Ustica del mare”. Troppe coincidenze. Troppi sospetti. Troppe presenze anomale in quel tratto di mare ingolfato come quel pezzo di cielo dove il 27 giugno 1980 si trovò, in altrettanto casuale compagnia, il Dc9 della compagnia Itavia.In quell’occasione le vittime furono 81, ovvero 82 con la verità finita per sempre, insieme a gran parte dei passeggeri di quel volo, in fondo al mare. Due storie diverse, due tragedie distanti tra loro ma unite dallo stesso pauroso sospetto. A tornare indietro con la memoria, di pretesti, volendo, se ne trovano anche altri. Dall’arrivo delle spie americane in Sicilia, subito dopo il secondo conflitto mondiale, la cui attività, secondo molti, fu fortemente legata a quella della mafia, alla Strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947), fino all’uccisione in Iraq dell’agente segreto Nicola Calipari (4 marzo 2005), passando per la strage della funivia del Cermis (3 febbraio 1998). I misteri, quelli che tutti chiamano “misteri d’Italia”, in questo Paese hanno quasi sempre un inquietante risvolto a stelle e strisce, e non è sempre colpa della dietrologia.Gli americani, secondo i complottisti, mettono lo zampino dappertutto, e quindi se là, in quel mare, la sera del rogo del Moby Prince, c’erano anche loro, è accaduto sicuramente qualcosa che nessuno deve sapere. ...continua a leggere "Moby Prince. Spettatori di una sovranità limitata"

Solo lui conosceva quanti e quali erano gli indicibili segreti di Stato che, alla fine, si è portato fin dentro la tomba. Francesco Cossiga, l’ex tutto, che non a caso in Senato sedeva nello scranno numero 007, se n’è andato a modo suo, il 17 agosto, quasi sbattendo la porta in faccia a tutti e lasciando, all’Iddio, il compito di proteggere l’Italia. Del resto in quale altro modo interpretare la scelta di tenere fuori dal suo funerale tutte le cariche dello Stato, nessuna esclusa. Tranne pochi altri, come loro, quelli senza volto e senza nome: i suoi fedeli figliocci dei corpi speciali.

E i segreti? I segreti - cioè tutto quello che ancora non sappiamo su più o meno mezzo secolo di storia repubblicana - se li è portati via con sé. Forse, visto il soggetto, quelli non li ha rivelati proprio a nessuno: perché un segreto di Stato è tale, è tale deve rimane. O magari, come amano pensare in rete gli amanti della dietrologia, quelle quattro lettere indirizzate alle più alte cariche dello Stato contenevano anche quelli. Oppure i suoi fedeli “apparati” dell’intelligence, un attimo dopo, su sua precisa indicazione, hanno raccolto il suo archivio e se lo sono portato via. Perché, spie e segreti, erano sì la sua passione, ma anche la sua ossessione. ...continua a leggere "Storia di un picconatore"