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Moro, il giallo delle foto scattate dalla strada in via Fani e poi sparite

MoroNuove fotografie potrebbero arricchire la lista dei misteri e delle mancate indagini sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Immagini riprese nei minuti immediatamente successivi al massacro della scorta, quando in via Fani non era ancora arrivata la prima volante della questura. E scattate direttamente dalla strada da Gherardo Nucci, lo stesso uomo che, in un momento successivo, aveva immortalato l’eccidio dal terrazzo della sua abitazione. Foto, queste ultime, già finite nel calderone degli eventi senza spiegazione del caso Moro. Sparirono, infatti, dopo che la moglie dell’autore, una giornalista dell’agenzia di stampa Asca, le aveva consegnate nelle mani del magistrato Luciano Infelisi. Ma le ricerche erano finalizzate a individuare gli scatti effettuati dal terrazzo. Mai, sinora, si era parlato di fotografie dalla strada.
Sulla ricostruzione della vicenda del rullino scomparso si è concentrata la relazione firmata da Paolo Scriccia, generale del Ros dei carabinieri e consulente della Commissione d’inchiesta sul caso Moro presieduta da Beppe Fioroni. Il dossier Scriccia, depositato a San Macuto il 5 ottobre 2015, sottolinea come nella fase istruttoria del procedimento Moro quater, nel dicembre del 1987, Gherardo Nucci avesse aggiunto particolari importanti rispetto a quanto affermato nella prima deposizione del 1978. Nove anni dopo, infatti, l’uomo raccontò per la prima volta di aver scattato alcune fotografie a livello della strada e poi di essere immediatamente tornato a casa. Dove, dal terrazzo, aveva fatto altre foto, proprio mentre iniziavano ad arrivare i primi automezzi della polizia. Infine, «di aver consegnato alla moglie, lo stesso giorno, il rullino da sviluppare».
La relazione ricorda come anche in altre dichiarazioni rese il 27 ottobre 1998 Nucci avesse confermato l’esistenza delle fotografie scattate dalla strada. Il generale Scriccia evidenzia come, di fronte alle importanti novità, la Digos avesse redatto una nota nel novembre del 1998 e inviata alla procura di Roma. Che decise di non approfondire la vicenda.
Due sono le ragioni che hanno spinto la commissione Moro a effettuare degli approfondimenti sulla vicenda della sparizione delle fotografie. La prima riguarda la ricerca di eventuali falle nelle indagini attivate nelle ore immediatamente successive al rapimento dell’esponente della Dc. La seconda ragione, invece, mira a individuare l’eventuale presenza della ‘ndrangheta in via Fani il 16 marzo del 1978. Infatti, se da un lato le foto scattate da Nucci non vennero ritenute importanti dai magistrati, l’attenzione sulla loro scomparsa venne accesa da una intercettazione telefonica, registrata e ascoltata durante il dibattimento del processo Moro. Quella tra il democristiano Benito Cazora - il quale manteneva contatti con esponenti della malavita con la speranza di liberare lo statista - e Sereno Freato, stretto collaboratore di Moro. Nel corso del colloquio telefonico, Cazora faceva presente a Freato che «dalla Calabria mi hanno telefonato per avvertire che in una foto presa sul posto quella mattina lì, si individua un personaggio... noto a loro».
Nel 1997, nel corso di un’udienza del processo per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, Cazora ricostruì così la vicenda dei contatti con la ‘ndrangheta: «Loro mi chiesero di fornirgli una fotografia che il ministero dell’Interno aveva divulgato e che era apparsa su Paese Sera, nella quale si evidenziava la figura di una persona che a suo giudizio era somigliante a un suo parente che probabilmente per essere presente nel momento della strage di via Fani, vuol dire che poteva essere collegato alla vicenda del sequestro dell’on. Moro; e mi chiedeva se potevo ritrovare la fotografia in originale, ingrandirla per verificare se la persona era quella perché da quella risalivano una serie di altri collegamenti».
Ulteriori particolari vennero aggiunti, incredibilmente, nel 1992. Quando cioè Saverio Morabito, uomo di punta della ‘ndrangheta, decise di collaborare con la giustizia. Questo è quello che raccontò ai magistrati milanesi che ne raccoglievano le dichiarazioni: «Non è certo un caso che taluni dei membri di maggior spicco della ‘ndrangheta si dice siano inseriti nella massoneria ufficiale, come per esempio la famiglia Nirta di San Luca, facente capo a Giuseppe e Francesco Nirta e che annovera Antonio Nirta, detto “due nasi” data la sua predilezione per la doppietta che, in Calabria, viene appunto denominata “due nasi”». E ancora: «Di Antonio Nirta avrò modo di parlare così come del suo doppio ruolo, dato che ritengo sia persona che abbia ruotato in ambiti contrapposti e cioè che abbia avuto anche contatti con la polizia o con i servizi segreti. Potrà sembrare non credibile, ma appresi da Papalia Domenico e da Sergi Paolo, come dirò, che il Nirta Antonio fu uno degli esecutori materiali del sequestro dell’onorevole Aldo Moro». E più avanti la circostanza veniva ribadita e Nirta “due nasi” veniva collocato da Morabito tra «quelli che hanno operato materialmente in via Fani, cioè non so se abbia preso parte al rapimento materiale o se sia stato uno di quelli che sparava». I magistrati di Milano cercarono riscontri alle dichiarazioni del pentito non trovandole. E la vicenda finì archiviata.
Perché quegli scatti finirono nel dimenticatoio? Cercando di approfondire questo filone investigativo, la relazione del generale Scriccia rivela delle falle clamorose nella ricerca del rullino e del suo contenuto. E delle incongruenze tra le dichiarazioni dei protagonisti. Benito Cazora riferisce che i suoi contatti calabresi aveva parlato di fotografie diffuse dal ministero degli Interni e pubblicate presumibilmente su Paese Sera il 17 o il 18 marzo 1978. Un elemento che avrebbe dovuto escludere immediatamente le immagini riprese da Nucci, che approdarono nella disponibilità dei magistrati proprio il 18 senza che vennero acquistate da testate o agenzie stampa. La relazione ricorda, inoltre, che tra le dichiarazioni rese da Nucci nel 1998 alcune riguardavano proprio le fotografie pubblicate su Paese Sera. «Dalle risposte che questi forniva», si legge, «si apprendeva che le foto scattate in via Fani potevano avere una caratteristica che le rendeva praticamente 'uniche', in quanto, a suo dire, in tutti gli scatti non vi erano persone o altre figure che occupavano la scena dell'eccidio». Tanto da far dichiarare che «sulla base delle dichiarazioni rese, appariva evidente che veniva a mancare ogni analogia con le foto acquisite presso l'archivio di Paese Sera».
Quali sono, allora, le foto cercate? Chi è che, in buona o mala fede, ha detto bugie? Perché le foto scattate dalla strada sono finite nel dimenticatoio? Spetta alla commissione sgombrare il campo da tutti gli inquinamenti accumulati negli anni.

di Vincenzo Mulè e Fabrizio Colarieti per lettera43.it [link originale]

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