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Diaz, la versione del super poliziotto

E' la versione dei fatti che mancava e che tutti attendevano, a undici anni dalla notte della scuola Diaz (22 luglio 2001), dal G8 di Genova e a poche settimane dalla sentenza definitiva che ha indelebilmente segnato le carriere di alcuni tra i più importanti investigatori italiani. E la sua versione, Vincenzo Canterini, nel 2001 a capo del VII Nucleo antisommossa del Reparto mobile di Roma, oggi ex funzionario della Polizia di Stato in pensione, l’ha affidata a due penne de Il Giornale, Gian Marco Chiocci e Simone Di Meo. Un racconto sofferto, il suo, quasi quanto lo è stato mettere piede in quella scuola, diventata il teatro del massacro che la storia del Terzo millennio ricorderà nelle sue pagine. Dalla testimonianza di Canterini, condannato definitivamente a tre anni e tre mesi per falso, proprio per quanto avvenne in quella notte, ne è nato un libro finito sugli scaffali in questi giorni: Diaz, dalla gloria alla gogna del G8 di Genova (Imprimatur Aliberti, 164 pp. 13 euro). Un saggio molto informato che contiene un’analisi che non mancherà di suscitare interesse, vista l’attualità del tema. Canterini, che in quella scuola arrivò al comando di un gruppo di agenti reduci da giornate di fuoco e da scontri di piazza du- rissimi, ripercorre quelle ore con sorprendente lucidità. E di notizie, tra le pagine dell’ interessante pamphlet di Chiocci e Di Meo, ce ne sono molte, alcune ancora inedite a distanza di undici anni. Il lettore ha dinanzi a sé una sequenza interminabile d’immagini, da quando il primo blindato della Celere abbatté il cancello della scuola, fino a quando l’alto dirigente si ritrovò, insieme ai suoi uomini, a soccorrere gli inermi manifestanti che qualcuno, più in alto, aveva frettolosamente definito «terroristi». Il saggio dei due cronisti de Il Giornale prova a illuminare le zone ancora in ombra dell’affaire Diaz, e il risultato è una ricostruzione che va oltre le manganellate di quella notte, le teste spaccate e le carriere interrotte. Una ricostruzione, forse tardiva, ma comunque necessaria. Mancava il punto di vista delle «guardie», ma Canterini non si limita a questo. Apre nuovi e pesanti interrogativi sui fatti che si consumarono tra le mura della Diaz, mette in fila gli errori e chiama in causa uomini mai processati, decisioni mai emerse, trattative mai entrate nelle indagini. Come il Gos, un nucleo speciale inesistente sulla carta, ma che secondo Vincenzo Canterini si occupò, nel buio, di portare a termine la «rappresaglia». «I fantasmi del Gos, come i mazzieri in abiti civili, diversi da noi per minimi dettagli cromatici su caschi e cinturoni, avevano un tratto distintivo comune: il volto irriconoscibile, coperto da foulard o mefisti. Solo per questo l’hanno scampata». Chi sono? Chi li comandava? Poi la cena di Boccadasse dove i vertici della pubblica sicurezza annunciarono al capo del Reparto mobile di Roma che c’era una trattativa in atto con le Tute Bianche di Luca Casarini. E quelle parole: «Vedi, Canterini, abbiamo un mezzo accordo con gli antagonisti. Per noi va bene che facciano casino, che si incazzino, che facciano scena. Ci sta. Non c’è problema che sfilino per le strade urlando slogan e minacce. E va bene pure che tra noi ci facciamo, come dire... una cosa cavalleresca. Ci picchiamo, ce le diamo come al solito. Ma gliel’abbiamo detto e ridetto: state lontani dalla Zona Rossa sennò so’ mazzate serie. Sembrano aver capito l’andazzo, speriamo bene. Tanto per ogni emergenza, c’è il tuo nucleo, no?». Fino all’episodio, emblematico, della finta autoambulanza che doveva trasportare armi e bastoni. «Dall’elicottero della polizia era stato notato un furgone Ducato, di colore bianco, che portava un’insegna che rimandava a quella della Croce rossa. Dall’alto l’avevano adocchiato mentre accoglieva, nel suo ventre di metallo, tubi, pietre, bastoni, mazze di baseball riposti da black bloc e attivisti della rete». In quel furgone, racconta Canterini, non c’era nulla di quanto l’equipaggio dell’elicottero aveva descritto, nulla da giustificare un intervento della Celere, che pure i suoi superiori avevano ordinato, trasformando un furgone pieno di medicinali in un carrarmato da fermare a tutti i costi.

di Fabrizio Colarieti per Il Punto, 10 agosto 2012 [pdf]

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