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Enrico Maria GrazioliUna telefonata allunga la vita, recitava un vecchio spot. A volte, invece, può finire per inguaiartela. Smascherando una tentata estorsione. E’ questa l’accusa alla base dell’ordinanza di custodia cautelare emessa il 25 luglio dal gip del Tribunale di Catanzaro, Gabriella Reillo, e richiesta dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo calabrese, nei confronti dell’ufficiale dei carabinieri, Enrico Maria Grazioli. Il militare, 40 anni, attualmente distaccato all’Europol, in passato in servizio proprio al Comando di Catanzaro, nel 2009 si sarebbe attivato, chiedendo di intervenire ad un boss della ‘ndrangheta, affinché un suo amico, imprenditore edile, recuperasse un credito vantato verso un altro imprenditore, relativo a lavori compiuti in un cantiere. Grazioli, secondo quanto ha ricostruito la Dda di Catanzaro, nel tentativo di aiutare l’imprenditore Danilo Silipo, che all’epoca dei fatti stava compiendo dei lavori in un suo appartamento a Roma, si sarebbe messo in contatto con il boss Nicola Arena, il quale, poi, avrebbe fatto pressioni sull’interessato per il recupero del credito vantato da Silipo. L’inchiesta è nata nell’ambito delle indagini che la Dda stava compiendo proprio sul conto di Arena e dello stesso Grazioli per presunte irregolarità nella realizzazione di alcune centrali elettriche in Calabria, indagini che nelle scorse settimane hanno anche portato al sequestro del parco eolico di Isola Capo Rizzuto.
RELAZIONI PERICOLOSE. A inchiodare Grazioli sono state le intercettazioni telefoniche, compiute dai suoi vecchi colleghi, dalle quali è emerso l’ambiguo rapporto di amicizia tra l’ufficiale e Nicola Arena, nipote dell’omonimo boss della cosca di Isola Capo Rizzuto. Un legame nato molti anni prima, pare in occasione della compravendita di una barca che Grazioli, quando era ancora in servizio al Reparto operativo di Catanzaro, acquistò da Arena. Tra i due – com’è emerso dalle intercettazioni – c’erano assidui contatti e una certa familiarità, tanto che l’allora maggiore era solito rivolgersi al boss chiamandolo «Amico mio». L’ufficiale, proprio in virtù di tale rapporto, si sarebbe quindi rivolto ad Arena per intervenire sull’imprenditore di Crotone che non aveva pagato i lavori a Silipo. Il credito vantato da quest’ultimo ammontava a circa 40mila euro e l’imprenditore, dopo aver tentato di recuperarlo senza successo per vie legali, si rivolse a Grazioli. Di fatto, Silipo, nonostante Arena abbia tentato di recuperare quel denaro, non incassò la somma: da qui l’ipotesi di tentata estorsione. Nell’ordinanza d’arresto, che ha portato in carcere Arena e Grazioli e che vede indagati in stato di libertà Silipo e un commercialista crotonese, il gip ha escluso l’aggravante della modalità mafiosa, che pure la Dda aveva avanzato nell’informativa consegnata ai pm Giuseppe Borrelli e Paolo Petrolo. Grazioli, inoltre, è indagato anche per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento nell’ambito di un’altra inchiesta aperta dalla Procura di Crotone, poi passata a quella di Catanzaro, sul business da 350 milioni di euro del parco eolico di Isola Capo Rizzuto. Ma non solo: il nome dell’ufficiale ricorre spesso anche nelle carte di altre inchieste sulla costruzione delle centrali termoelettriche di Scandale e Teramo e sulla vicenda delle sim “coperte” che nel 2009 portò in carcere il capo della sicurezza di Wind.
LE SIM FANTASMA. Tra le amicizie di Grazioli c’è un ex carabiniere di Catania, Salvatore Cirafici, passato dall’Arma alla security di Wind. Cirafici si occupa dei rapporti tra la compagnia telefonica e l’autorità giudiziaria, in pratica passano per il suo ufficio tutte le richieste d’intercettazioni telefoniche, tabulati e tracciamenti che ogni procura inoltra alla Wind. Grazioli è nei guai, il tribunale di Crotone sta indagando sul suo conto e su un presunto giro di mazzette per la realizzazione della centrale Turbogas di Scandale e di altri tre impianti. Ma accade qualcosa che spinge gli inquirenti a occuparsi anche del suo amico Cirafici. Intercettando il cellulare di Grazioli, infatti, balza agli occhi dei carabinieri un’utenza Wind che pur essendo regolarmente attiva non risulta censita dalla compagnia. Di più: sarà lo stesso gestore a comunicare ai carabinieri che quell’utenza e disattiva da più di un anno. Perciò quel numero (329/111…) non esiste, anche se qualcuno lo sta utilizzando. Scattano gli accertamenti ed entra in scena Cirafici. I carabinieri scoprono che dietro quel numero “fantasma” c’è proprio lui. Cirafici e Grazioli sono nei guai fino al collo. Il primo ha informato l’altro che la procura di Crotone sta indagando sul suo conto e che sono in corso delle intercettazioni. Cirafici aveva nella sua disponibilità decine di schede telefoniche Wind “non intestate” e perciò “non riconducibili” a nessuno. Il dirigente finisce ai domiciliari con l’accusadi concorso in rivelazione del segreto d’ufficio, favoreggiamento, falso e induzione a rendere false dichiarazioni.
L’INCHIESTA “WHY NOT”. Sono ancora le intercettazioni, quelle dell’inchiesta sulle mazzette per la centrale Turbogas, a procurare altri guai a Grazioli. Sempre nel 2009, con l’aiuto di un commercialista, l’ufficiale era entrato in contatto con un senatore, uno degli indagati dell’inchiesta “Why Not”, a cui Grazioli, due anni prima, aveva lavorato su delega della Procura di Catanzaro. I contatti tra l’ufficiale dell’Arma e il senatore, secondo la Procura di Crotone, erano finalizzati al reperimento «di notizie inerenti delle indagini cui lo stesso Grazioli aveva preso parte e che vedevano interessati lo stesso senatore, oltre ad altri soggetti». Sarà lo stesso Grazioli a raccontare un altro pezzo della storia ai magistrati di Crotone a partire dall’ottobre del 2009: «Cirafici nel corso di una telefonata mi ha riferito di un convegno a Maccarese che sarebbe avvenuto alla fine dell’estate al quale erano presenti il dottor De Magistris (all’epoca titolare dell’inchiesta “Why Not”, ndr), Genchi (Gioacchino, consulente della procura di Catanzaro, ndr), Sonia Alfano (allora esponente dell’Idv, ndr) e, a dire del Cirafici, sarebbe stato invitato anche il dottore Bruni (Pierpaolo, il pm crotonese che indaga sulle sim “coperte”, ndr)». E ancora: «Conoscevo il Cirafici sin dal corso nei Carabinieri. Ci siamo persi di vista per più di dieci anni, per poi rincontrarci in occasione della perquisizione disposta dalla Procura Generale nei confronti di Gioacchino Genchi. A far data da questo momento i rapporti si sono consolidati. Dopo tale contatto telefonico fu il Cirafici a farmi visita a Catanzaro, dove più volte mi manifestò il disappunto e la sua ira, poiché erano emersi dei contatti, nelle consulenze di Genchi, tra lui, il senatore… e altri soggetti. Ulteriore e ben più grande timore del Cirafici, sempre verso le indagini di cui alla consulenza di Genchi, era quello determinato dal fatto che la tipologia di schede Wind (quelle fantasma, ndr) fossero state da lui consegnate e date per l’uso anche a soggetti ricoprenti ruoli istituzionali di primo piano. Quindi temeva che dagli accertamenti curati dal consulente Genchi si potessero svelare e quindi far emergere tali gravi circostanze e le sue relative responsabilità». Il consulente Gioacchino Genchi, si scoprirà poi, aveva espresso forti dubbi sul conto dell’allora maggiore Grazioli al pm Luigi De Magistris. Ma al momento dello scoppio del caso “Why not” e della successiva avocazione dell’inchiesta – che segnerà la fine della carriera del pm ora sindaco di Napoli e l’inizio di un calvario infinito per il suo consulente – ironia della sorte, sarà proprio il maggiore Grazioli a notificare a Genchi la revoca del suo incarico. E sarà sempre lo stesso ufficiale, finito agli arresti per tentata estorsione, a prendere in consegna il materiale investigativo al quale Genchi stava lavorando per conto della procura di Catanzaro.

di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 9 agosto 2012 [pdf]

Il tema spinoso delle intercettazioni sembrava finito nel dimenticatoio. Sorpassato dallo spread impazzito, dall’articolo 18 e dalla caduta anticipata di Silvio Berlusconi, il premier (pardon, l’ex) che – più di altri – provò a caricare sulle spalle degli italiani una paura in più: quella di essere spiati al telefono. Per intenderci stiamo parlando di una materia talmente complicata, quasi quanto regolare il conflitto d’interessi, che ha visto due governi, prima Prodi e poi Berlusconi, alle prese con un ddl mai nato, ma da tutti invocato a gran voce, guarda caso ogni volta che un politico – di destra o di sinistra – finiva intercettato da una procura. La bozza la portò all’attenzione del parlamento una vittima illustre dei telefoni sotto controllo, l’ex guardasigilli Clemente Mastella, il cui traffico telefonico (cosa ben diversa da quello fonico) finì – illegalmente secondo la Procura di Roma – negli atti dell’inchiesta Why Not? condotta dall’allora pm Luigi de Magistris e dal suo consulente, Gioacchino Genchi. Entrambi sono sotto processo, a Roma (la prima udienza ci sarà il prossimo 17 aprile), perché, secondo l’accusa, chiesero alle compagnie telefoniche di “sbirciare” nel traffico di migliaia di utenze, tra le quali anche quelle di parlamentari e agenti segreti, senza chiedere la preventiva autorizzazione alle Camere. ...continua a leggere "Bavaglio & Business"

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C’era una volta il Campanile. Fino al 2009, il fu quotidiano dell’Udeur di Mastella suonava puntuale come un orologio svizzero a colpi di contributi pubblici. Ma da marzo dell’anno scorso ha smesso di scampanare e ora l’ultimo rintocco (a morto) potrebbe essere davvero molto vicino. Una settimana fa, su mandato di un gruppo di ex dipendenti della cooperativa Il Campanile Nuovo, editrice dell’omonima testata, che sperano di recuperare stipendi arretrati e tfr, gli avvocati Giorgia Loreti e Raffaele Nardoianni hanno depositato al Tribunale civile di Roma l’istanza di fallimento (R.G. 1487/2011) della società. E adesso una sentenza potrebbe scrivere la parola fine su una vicenda iniziata nel 2000 con la fondazione del giornale del partito di Mastella, passata per la cessione, nove anni dopo, a una cordata che aveva il proprio riferimento nell’imprenditore Fabio Caso, e poi avviata verso l’inglorioso finale da gennaio 2010 con l’assunzione di nuove vesti sotto il nome de Il Clandestino.
Il declino del Campanile inizia con i guai di Clemente Mastella: dopo l’ascesa al soglio di ministro della Giustizia nel 2006 è arrivata la caduta, un anno e mezzo dopo, seguita agli arresti (domiciliari) della moglie, Sandra Lonardo, all’epoca presidente del Consiglio regionale della Campania. Gli eventi precipitano rapidamente: Mastella prima si dimette da ministro, poi ritira la fiducia al governo, caduto qualche giorno più tardi al Senato al termine della drammatica seduta finita con il celebre sputo di Tommaso Barbato (rimasto fedele a Mastella) a Nuccio Cusumano (in rotta con l’Udeur decise di sostenere Prodi). Spazzato via dallo scenario parlamentare nelle successive elezioni, il partito di Mastella inizia a maturare l’idea di liberarsi della zavorra. A cominciare proprio da Il Campanile, che il 25 ottobre del 2007 aveva ricevuto, nell’ambito dell’inchiesta “Why Not?”, la visita della polizia giudiziaria, interessata ad acquisire l’elenco fornitori del giornale. L’accelerazione definitiva la diede una nuova perquisizione, ordinata dal pm di Napoli, Francesco Curcio, due anni dopo, il 29 ottobre 2009 ed eseguita il giorno seguente nell’ambito della stessa inchiesta che aveva portato all’arresto, tra gli altri, della moglie di Ma-stella. Il giornale era già in smobilitazione: già da mesi i giornalisti lavoravano da casa. Facile immaginare la sorpresa degli ufficiali di polizia giudiziaria che quel 30 ottobre di due anni fa credevano di dover perquisire una redazione e invece si ritrovarono in uno scantinato sulla Tiburtina dove, dopo il trasloco forzato da Largo Arenula, la cooperativa Il Campanile Nuovo aveva accatastato le sue cose (mobili e documenti contabili). ...continua a leggere "“Il Campanile” di Mastella verso l’ultimo rintocco"

L'intervista esclusiva a Gioacchino Genchi realizzata a Palermo il 6 aprile 2011 per Notte Criminale.

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L'intervista, anche in formato testuale: prima parte - seconda parte.