Vai al contenuto

1

Neanche la penna di Joseph Conrad, l’autore del celebre romanzo L’agente segreto, avrebbe potuto partorire una storia così. Eppure, a leggerla con gli occhi di un qualunque complottista – e in Italia ce ne sono davvero tanti – il ritorno in auge dell’eterno sospetto, che dietro il pool di Milano e l’inchiesta mani pulite ci fosse la manina dell’intelligence americana, ancora oggi annovera autorevoli sostenitori. «Una storia – commenta a Il Punto l’allora capo del pool di Milano, Francesco Saverio Borrelli – che è frutto di un’immaginazione un po’ sfrenata». Perciò nulla da invidiare alle pagine e allo stile di Conrad. E gli ingredienti, manco a dirlo, ci sono tutti: un politico, Bettino Craxi, che se la intende con il Medio Oriente; una potenza straniera, gli Stati Uniti d’America, che non vede di buon occhio tanta libertà nel Mediterraneo; e, infine, l’incidente diplomatico che fa traboccare il vaso, il braccio di ferro di Sigonella dopo il dirottamento della nave Achille Lauro (1985). Un precedente non di poco conto, che avrebbe verosimilmente «armato» la diplomazia Usa, spingendola a intromettersi nella vita pubblica italiana. Come? Infiltrandosi tra i magistrati che indagando sulla politica (il Psi e Bettino Craxi in primis) stavano cambiando il corso della storia. ...continua a leggere "Mani pulite non è un romanzo"

In quel 19 luglio di lacrime e morte, tra le lamiere roventi e l’odore del tritolo sporco di sangue, si sarebbe potuto immaginare un finale diverso. Magari come questo: «Ecco via d’Amelio con un’ampia zona in cui è vietato il parcheggio davanti al civico 19-21. E’ un paesaggio tipico di Palermo di quegli anni; la casa, infatti, è un obiettivo sensibile, ci abita la madre del giudice Borsellino e il giudice viene spesso a trovarla. La sua scorta ha da tempo individuato quella zona come un punto ideale per commettere un attentato. E il giudice Paolo Borsellino, come tutti sanno, è il principale obiettivo di Cosa nostra. L’acume, la professionalità e la dedizione degli agenti, il lavoro dei servizi segreti, la solidarietà popolare contro la mafia hanno permesso la recinzione di quel tratto di strada, e nessuno ha protestato troppo per i disagi nei parcheggi. Così è stata protetta la vita del procuratore nazionale antimafia Paolo Borsellino…». Ma come scrive nel suo ultimo libro (Il vile agguato) Enrico Deaglio, «non andò così» e «lo sappiamo bene». Ci sono altre cose, invece, che non sappiamo affatto: perché dopo vent’anni esatti di depistaggi e menzogne, sull’assassinio di Borsellino e degli uomini della sua scorta, in uno Stato che la rivendica a parole ma la ostacola nei fatti, la verità non è stata ancora accertata. ...continua a leggere "Strage di via D’Amelio, vent’anni senza verità"

«Lo Stato tiri fuori l’agenda rossa di Paolo Borsellino, solo così potrà recuperare credibilità». A parlare è Giuseppe Di Lello Finuoli, ex giudice istruttore e parlamentare, nel ’83 chiamato da Antonino Caponnetto a far parte del pool di Palermo dopo l’uccisione di Rocco Chinnici. Insieme a Leonardo Guarnotta, attuale presidente del tribunale di Palermo, Di Lello è l’unico testimone ancora in vita della stagione che li vide in prima fila nella lotta a Cosa nostra, gomito a gomito con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Cosa ricorda di quegli anni, quando nacque il pool e lavorò al fianco di Falcone e Borsellino?
«Quando Gaetano Costa e Rocco Chinnici (entrambi vittime di mafia, ndr) cominciarono seriamente a indagare su Cosa nostra, ci si rese conto che in realtà era un fenomeno abbastanza perseguibile, cioè non era quel mostro sconosciuto e impenetrabile cui si faceva spesso riferimento. Ma le grandi intuizioni, quelle che cambiarono l’approccio, furono quelle di Giovanni Falcone. Mi riferisco al fatto di andare a guardare dentro le banche, di utilizzare le intercettazioni, di avviare rapporti con gli altri organi inquirenti. Era un innovatore, e il suo modo di indagare fu dirompente. Fino a quel momento a Palermo non c’era stata una magistratura credibile, ma Falcone aveva la fama di essere un giudice bravo, uno di cui ci si poteva fidare. Sono entrato nell’ufficio istruzione nell’82, c’erano già Falcone e Borsellino, il pool nacque con la morte di Chinnici, strutturalmente venne messo in piedi da Caponnetto. E anche la sua fu una grande intuizione: far lavorare insieme i giudici asse-gnatari di processi contro la mafia, per costruire un unico grande processo. Nacque così il pool che era composto da Falcone, Borsellino e me, poi arrivò Guarnotta, e noi quattro istruimmo i primi grandi processi contro Cosa nostra». ...continua a leggere "Di Lello: «Lo Stato tiri fuori l’agenda rossa di Borsellino»"

2

Accordi, trattative, tavoli di accomodamento e “barbe finte” che si muovono nell’ombra. Dentro ogni mistero, giù a Palermo, ce n’è nascosto un altro e poi un altro ancora. Sono come le scatole cinesi. C’è la trattativa tra lo Stato e la Mafia, e quel signor Franco, che gioca su più tavoli e che Massimo Ciancimino, il figlio scapestrato di Don Vito, ha tirato in ballo, ma che nessuno ha finora identificato. E quindi, chissà se esiste davvero. C’è l’arresto del Capo dei capi, Totò Riina, e la mancata perquisizione della sua villa in via Bernini, un altro rompicapo infinito. E poi la mancata cattura da parte del Ros di Binnu Provenzano, nelle campagne di Mezzojuso nel ’95, e il suo arresto, compiuto undici anni dopo dalla polizia. E, ancora, la storia di «Svetonio», la fonte che porta l’Aisi a un passo dalla cattura di Matteo Messina Denaro, l’ultimo grande latitante, il nuovo capo della Cupola siciliana, imprendibile da diciannove anni.
LA RESA DI BINNU
In Sicilia nulla è come appare, le storie di mafia non hanno mai un the end, neanche dopo i processi e le sentenze. Mancano sempre dei pezzi e nell’ombra si muovono sempre i soliti faccendieri, messaggeri, informatori ed emissari. L’ultima vicenda, che chiama in causa lo Stato e Cosa nostra, e chi nel mezzo trattava con entrambi, riguarda proprio Bernardo Provenzano. Non è una trattativa, non ci sono né pizzini né papelli, ma condizioni  - anzi “tavoli di accomodamento” - e tanti danari. E anche qui c’è uno strano personaggio che si muove nell’ombra, a libro paga della guardia di finanza e del Servizio segreto militare. Si spaccia per commercialista esperto in flussi finanziari, parla romano stretto ai microfoni di «Servizio pubblico», e racconta di quando Provenzano, tramite un altro misterioso contatto, provò a mediare la sua resa. Il tutto si consumò tra il 2003 e il 2005. Una vera e propria trattativa con un emissario che detta le regole e le condizioni di resa. ...continua a leggere "Palermo top secret"