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Sorveglianza di massa: limiti e controversie

intercettazioniGli italiani si abituino ai problemi di connessione, ai frequenti black out delle reti, ai social network e alle app per messaggistica temporaneamente inaccessibili e alle difficoltà di effettuare chiamate, anche se lo smartphone dice che c’è abbastanza campo. Saranno questi i “disservizi” più frequenti a cui assisteremo nei prossimi mesi, in particolare nelle grandi città. È il prezzo che, con ogni probabilità, sarà necessario pagare per difenderci dalla minaccia terroristica, anche se l’efficacia della sorveglianza di massa è tutta da dimostrare, come abbiamo imparato dall’11 settembre 2001 in poi.
Poco male per 9 italiani su 10 che, secondo un sondaggio Demos per il quotidiano La Repubblica, si dicono favorevoli a un aumento della sorveglianza di strade e luoghi pubblici attraverso le telecamere, e la metà di essi (il 46%) vorrebbe rendere più facile alle autorità anche il controllo sulle comunicazioni elettroniche, dalle e-mail alle telefonate.
Tuttavia il tema è delicato, c’è in ballo la privacy e la libertà di tutti coloro che non hanno nulla a che fare con il jihad. Il Giubileo impone uno straordinario sforzo per gli apparati della sicurezza nazionale, che comprende un uso intensivo delle tecnologie di sorveglianza di massa nei confronti di precisi target, ma anche del resto dei cittadini che ogni giorno utilizzano il cellulare o il computer per comunicare.
Un campanello d’allarme, in tal senso, lo ha lanciato qualche giorno fa dalle colonne di Avvenire anche il Garante per la Privacy, Antonello Soro, affermando che «serve razionalità» e non «reazioni emotive» e che la sfida decisiva «è quella di ridurre i rischi senza ridurre le essenziali garanzie democratiche». Il Garante ha poi puntato il dito contro le norme che favoriscono la sorveglianza di massa che, sia in Usa che in Europa, hanno fallito «non per mancanza di informazioni, ma per una prevedibile impossibilità di analisi».
Sorvegliare tutti per contrastare il terrorismo ha pro e contro. Infatti enormi quantità di metadati, cioè l’insieme di informazioni che viaggiano con le nostre comunicazioni, se non si ha la capacità di analizzarle e correlarle servono a poco.
Non è chiaro se anche in Italia ci sarà una stretta sulle libertà attraverso provvedimenti di emergenza, come in Francia, per consentire all’intelligence di sorvegliare ogni tipo di comunicazione elettronica, a prescindere se il target sia o meno sospettato di avere legami con organizzazioni terroristiche.
L’11 settembre ha insegnato, e le recenti stragi di Parigi lo hanno ribadito, che intercettare 'a strascico' tutto ciò che transita nelle reti mondiali di telecomunicazioni non serve a fermare il terrorismo o a prevedere dove esso attaccherà. E questo, più in generale, è l’emblema del fallimento delle intelligence mondiali, nonostante le risorse messe in campo e le tecnologie, sempre più invasive, impiegate.

di Fabrizio Colarieti per lettera43.it [link originale]

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