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Sigillato il relitto della nave Laura C., fonte di tritolo delle cosche

Laura C.Per anni la criminalità organizzata aveva attinto, per compiere attentati, a parte delle 1.500 tonnellate di “saponette” di tritolo che il 3 luglio 1941, in piena Seconda guerra mondiale, erano finite in fondo allo Ionio.
Giacevano lì, nella pancia del piroscafo italiano “Laura Cosulich” affondato da un sommergibile inglese mentre navigava nelle acque antistanti a Saline Joniche, sulla costa grecanica reggina. La nave, 150 metri di lunghezza e 20 mila tonnellate di stazza, era di proprietà della società anonima di navigazione “Italia” di Genova. Quando fu affondata con il suo carico di 5 mila tonnellate di esplosivo, munizioni e altri materiali destinati all’esercito era partita dal porto di Taranto ed era diretta a quello di Napoli. Si adagiò, senza rompersi, su un fondale profondo circa 50 metri.
Oltre 70 anni dopo, e centinaia di saccheggi compiuti dalla ‘ndrangheta, tra settembre e ottobre 2015, i palombari del gruppo operativo subacquei del Comsubin della Marina militare hanno ultimato le operazioni necessarie per sigillare le stive della “Laura C.”. Mettendo così al riparo il pericoloso carico di tritolo (Tnt) che ancora oggi è conservato nella nave in condizioni tali da essere utilizzato in qualunque momento.
Si è trattato di un'operazione delicata, hanno spiegato giovedì 26 novembre, annunciando la conclusione dell’intervento di bonifica, il prefetto di Reggio Calabria, Claudio Sammartino, e il procuratore capo del capoluogo calabrese, Federico Cafiero De Raho. Le stive del piroscafo, hanno confermato l'ammiraglio Eduardo Serra del comando marittimo Sud e il comandante degli incursori della Marina, Terry Trevisan, non sono più accessibili.
I palombari del Comsubin hanno operato in condizioni molto difficili con immersioni di 50 minuti ciascuna che, tra presenza sott'acqua e decompressione, consentivano al massimo 16-17 minuti di lavoro effettivo. Le stive sono state chiuse ermeticamente, così come sono stati saldati anche i varchi che erano stati aperti dai sommozzatori ingaggiati dalla criminalità organizzata per reperire tritolo. In futuro, sperano gli inquirenti, il relitto, che deve essere sorvegliato anche in futuro, potrebbe scivolare a profondità abissali scomparendo per sempre in fondo allo Ionio.
Le indagini condotte dall’antimafia nel corso degli ultimi 20 anni hanno accertato che il relitto della “Laura C.” era diventato per le cosche un punto di rifornimento per l’approvvigionamento di esplosivo ad alto potenziale. Il procuratore De Raho, nei mesi scorsi, aveva rimarcato in più occasioni l'importanza di bloccare l'accesso al 'market' della 'ndrangheta. Nel corso di diverse operazioni contro esponenti delle cosche reggine erano stati rinvenuti panetti di esplosivo del tutto compatibili con quelli conservati nella pancia del piroscafo. Nel 2004, in particolare, indagando sulla cosca Iamonte, erano stati sequestrati oltre 300 chili di tritolo provenienti dalla nave.
Nel 2014 la polizia e i sommozzatori del Comsubin avevano compiuto anche un’altra operazione di bonifica del relitto recuperando 121 panetti da 200 grammi per complessivi 24 chilogrammi di esplosivo. E anche in quel caso l'operazione era stata ordinata dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Reggio Calabria.
In passato si disse anche che lo stesso esplosivo poteva essere stato utilizzato nella strage di Capaci del 1992 - in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e gli agenti di scorta - e per l’attentato ai treni di Madrid nel 2004. Ipotesi poi smentite.

di Fabrizio Colarieti per lettera43.it [link originale]

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