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Motonave Hedia, mistero italiano che torna a galla

marinai hediaLa storia della motonave Hedia Monrovia, 4.300 tonnellate di stazza, battente bandiera liberiana, può essere annoverata a tutti gli effetti tra i misteri d'Italia.
Perché ancora oggi di questa torbida vicenda se ne sa davvero poco. Affondò al largo delle coste della Tunisia il 14 marzo 1962 sul finire della guerra franco-algerina, portando con sé 20 vittime: 19 italiani e un gallese. Di loro non sappiamo più nulla da quel giorno.
La Hedia scomparve, inghiottita per sempre dal mare, mentre navigava vicino all’arcipelago di Galite. Era salpata, ai comandi di Federico Agostinelli, da Ravenna e lì doveva tornare dopo aver raggiunto la Spagna con uno scalo intermedio a Casablanca. Quello era anche il suo ultimo viaggio, perché l'armatore, la Compagnia Naviera General S.A. di Panama, aveva deciso di rottamarla. Era in mare dal 1915, prima ancora con il nome “Milly”, ma nonostante l'età aveva superato tutte le revisioni.
Perfetta anche la tabella di marcia. Il 5 marzo scaricò diverse tonnellate di concimi chimici nel porto valenciano di Burriana. Il giorno stesso salpò di nuovo alla volta del Marocco. Cinque giorni dopo era a Casablanca a caricare 4 mila tonnellate di fosfati destinati al porto di Venezia. Una improvvisa burrasca nel canale di Sicilia costrinse il comandante a cambiare rotta e la nave passò sicuramente per Gibilterra prima di scomparire, vicino La Galite, il 14 marzo.
Ora la storia rivive grazie a Diciannove più uno, lo spettacolo di teatro civile che la Compagnia Stabile Assai della casa di reclusione di Rebibbia porta in scena dal 10 al 13 maggio 2016 al Teatro Golden di Roma. Lo sforzo di trasformare in narrazione teatrale una storia vera e dolorosa, come una ferita che non si è mai rimarginata, lo hanno fatto i detenuti del carcere romano, nelle vesti di attori al fianco di Cosimo Rega, Orso d’Oro nel film dei fratelli Taviani Cesare deve morire, con l'aiuto dello scrittore Patrizio Pacioni e l'adattamento teatrale e la regia di Antonio Turco e Patrizia Spagnoli. In scena sono pronti ad andare anche le testimonianze di alcuni parenti dei marinai scomparsi con l'obiettivo di far parlare del caso della Hedia.
Quel giorno non ci fu nessun mayday. Hedia venne inghiottita in silenzio dalle acque del Mediterraneo. Il suo naufragio, sulle prime, apparve come uno dei tanti affondamenti che avvengono quando il mare è ostile.
Poi, con il passare del tempo, è divenuto un giallo.
C'era ancora la guerra in quel tratto di Mediterraneo che bagnava le coste algerine e oltre l'esercito francese, impegnato nell'entroterra a fronteggiavano gli indipendentisti guidati dal Fronte di liberazione nazionale, c'erano anche diverse navi militari spedite da Charles de Gaulle a sorvegliare le coste africane.
Il cessate il fuoco fu decretato il 19 marzo 1962, cinque giorni dopo l'affondamento della nave Hedia. L'ipotesi più plausibile è che la motonave sia stata colpita da un siluro francese, forse perché sospettata di trasportare armi destinate agli algerini. Una ricostruzione - su cui nessuno ha mai indagato - che lega il suo affondamento agli stretti rapporti tra Enrico Mattei, l'allora presidente di Eni, e il governo provvisorio della Repubblica algerina.
I primi depistaggi arrivarono otto giorni dopo la sparizione del mercantile.
Una radio costiera di Malta intercettò un messaggio ai naviganti diffuso dal comando del porto di Tunisi che informava che il 21 marzo la motonave Hedia aveva lanciato un sos al largo dell'arcipelago de La Galite. Quel tratto di mare, non così esteso, in quel momento era zeppo di navi militari, non solo francesi, dunque è bizzarro sostenere che una nave civile in difficoltà fosse passata inosservata per sette lunghi giorni.
L'ultima speranza di rivedere l'equipaggio della Hedia risale al 14 settembre dello stesso anno quando il Gazzettino di Venezia pubblicò una foto, scattata ad Algeri 12 giorni prima da un reporter inglese, che mostrava un gruppo di uomini definiti «prigionieri europei rilasciati dagli algerini». Alcuni familiari, vedendo quella foto, riconobbero, senza alcun dubbio, cinque membri dell'equipaggio della Hedia: il cuoco, il secondo ufficiale, il fuochista, un marinaio e il marconista. Ma nessuno li vide tornare.

di Fabrizio Colarieti per lettera43.it [link originale]

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