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Il tesoro in fuga di don Vito

Si chiama Ochiul Boului, occhio di bue, ed è la discarica più spaventosa della Romania. Sicuramente la più grande d’Europa. Sono in molti a credere che lì, nella piccola città di Glina, complici anche le leggi rumene, vengano sversati i veleni dell’intero Continente. Quasi sicuramente quelli italiani. Portati qui dalla criminalità organizzata. In una lettera inviata anni fa al settimanale Famiglia Cristiana, Guido Garelli, personaggio legato ai servizi segreti inglesi e coinvolto nel progetto Urano per lo smaltimento di materiale pericoloso in una depressione dell’ex Sahara spagnolo, definì la Romania una «pietra miliare» dei traffici illeciti di rifiuti provenienti dall’Italia. E la presenza di imprenditori italiani legati al ciclo dei rifiuti è una costante per il Paese. Sotto i Carpazi fiorisce una miriade di aziende campane che si occupano proprio di rifiuti. Qui, anche secondo la Procura di Roma, si nasconderebbe il tesoro di don Vito Ciancimino. E questi luoghi, sempre secondo gli inquirenti, sarebbero al centro di transazioni che potrebbero rendere la vita più difficile ai magistrati che da anni stanno seguendo la scia di quel tesoro.
ROMA CHIAMA PALERMO. Per questo, la scorsa settimana le forze dell’ordine sono tornate a casa di Massimo Ciancimino e di altri suoi sodali alla ricerca di «documentazione e titoli utili a dimostrare l’attività illecita in corso». Un’inchiesta che, è bene ribadire, fa il paio con quella che da anni la procura di Palermo (che ha avuto Massimo Ciancimino tra i suoi collaboratori in merito all’indagine sulla trattativa mafia-Stato) sta conducendo. E che è partita da L’Aquila, dove i magistrati abruzzesi e il Noe hanno intercettato nell’ambito di un’inchiesta sui rifiuti gli stessi personaggi indagati in Sicilia. Un sodalizio, quello tra Massimo Ciancimino e i suoi più stretti collaboratori, che dura da anni. E che vede anche delle nuove entrate. Ai già noti Romano Tronci, Santa Sidoti e Sergio Pileri si aggiungono nomi nuovi. Come quello di Raffaele Pietro Valente, proprietario della S.C. Alzalea Srl, che a sua volta detiene l’82 per cento del capitale di Ecorec S.A. proprietaria della discarica di Glina. «Questo ufficio assume che alla data odierna Ecorec sia ancora nella disponibilità di Massimo Ciancimino benché i preposti (...) stiano tentando di vendere la società per capitalizzare i proventi e, verosimilmente, disperderne le tracce, salvandoli dall’azione giudiziaria». Il riferimento è all’inchiesta palermitana, che ha ripreso impulso dall’attività del Gip Piergiorgio Morosini che, rifiutando la richiesta di archiviazione avanzata dai pm palermitani, lo scorso dicembre aveva disposto un supplemento di indagini per approfondire i collegamenti «diretti e indiretti» tra Massimo Ciancimino e una serie di personaggi chiave che ruotano intorno a questa intricata vicenda. Uno spunto investigativo che ha trovato conferme nell’indagine romana, che ha portato alla luce le manovre per concludere «l’affare Romania».
INTRECCI PERICOLOSI. «L’argomento è sempre la strage Falcone Borsellino legata alla più grossa azienda ecologica in Romania». La frase riportata è un passaggio di una lettera, scritta probabilmente nel 2007 sul computer, sequestrato, di Santa Sidoti e indirizzata al dottor Ribolla e al professore Ferro, due amministratori giudiziari che, a quel tempo, si occupavano del patrimonio sequestrato ai Ciancimino. Nella lettera, la Sidoti affronta le vicende della società Agenda 21 che controlla discariche e centri di raccolta in Romania, i rapporti di quest’ultima con la Sirco, con la società Alzalea e con la società Ecorec. Quello che i magistrati romani volevano bloccare era proprio la vendita della Ecorec, per la quale Valente aveva già dato disposizione in merito all’apertura di un conto corrente in Montenegro per il deposito delle quote di sua spettanza. Un’operazione, ormai in dirittura d’arrivo, a favore della società lussemburghese Ecovision International la quale, successivamente avrebbe rivenduto a un’altra società, al momento sconosciuto, in modo tale da realizzare una plusvalenza. Attori principali della vendita sarebbero, sempre secondo gli investigatori, Valente, che però prende ordini da Romano Tronci, e Nunzio Rizzi, presidente della Ecovision. I due si scambiano mail e si incontrano a Roma l’8 e il 9 agosto. Dopo quest’ultimo incontro Rizzi riceve una telefonata da Gabrio Calaffini, un imprenditore umbro condannato per bancarotta fraudolenta, al quale comunica: «Stamattina ero con Claudio e lui ti manderà una mail, allora praticamente: se ci sono le condizioni, come tu avevi detto, se la cosa ti interessa, potrebbe essere contrattualizzata anche prima di fine di questo mese! (...) parlo operazione Romania». Il Claudio citato è Claudio Imbriani, ex direttore di una filiale di Lucca della Banca Nazionale del Lavoro, risultato tra i protagonisti di una intricata vicenda giudiziaria, e al quale venne contestato il reato di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata. Dalle indagini è inoltre emerso come fosse fissato per il 20 ottobre il versamento di 3 milioni dieuro da parte di Ecovision quale caparra per l’acquisto, da perfezionarsi in Romania entro il 30 novembre. Tutte le operazioni sono state seguite dai referenti rumeni Dombrowsky e Pileri, con quest’ultimo che informava sullo stato d’avanzamento della trattativa direttamente la coppia Tronci-Sidoti, in costante contatto con Massimo Ciancimino. Come dimostrerebbe l’incontro avvenuto a Roma il 27 settembre tra Sergio Pileri e Romano Tronci, compagno di Santa Sidoti. Il giorno successivo la donna ha incontrato a Milano proprio Massimo Ciancimino per poi incontrare, nelle 24 ore successive, anche Pileri presso la sua abitazione. Un incontro che suggellava l’avvenuta vendita, salutata dalla Sidoti come «un miracolo».
«E’ LA SOLITA STORIA». Diverso è il punto di vista di Massimo Ciancimino, raggiunto subito dopo la perquisizione a Palermo. Prima di tutto sull’incontro con la Sidoti: «Sta molto male, pesa trenta chili, abbiamo parlato solo di terapia del dolore. Questa storia della Romania va avanti da otto anni, sembra una comica. Facciano come vogliono, si uniscano tutte le procure, Roma, l’Aquila, Pescara, Palermo e Milano, facciano l’inchiesta ma la concludano. Non è possibile che da otto anni siamo ancora qui a discutere del tesoro di Ciancimino. Questa cosa accade a venti giorni dall’inizio del processo sulla trattativa Stato-mafia. Spero solo di riuscire a deporre. I tentativi di delegittimarmi saranno molti». Ciancimino parla anche dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, che già in passato aveva amministrato un’altra società, la Sirco, confiscata e riconducibile a lui e ad altri indagati nell’ambito dell’inchiesta ora approdata in Romania. «Solita storia, per me Cappellano è in accordo con i romeni. È assurdo non disporre di un bene confiscato. So che Cappellano era andato in Romania con Cosentino per far comprare la discarica a un suo amico, esperto in discariche».

di Fabrizio Colarieti e Vincenzo Mulè per Il Punto del 19 ottobre 2012 [pdf]

2 pensieri su “Il tesoro in fuga di don Vito

  1. Claudio

    Credo che sia doveroso pubblicare il fatto (a ciò ha già provveduto altra "stampa") che il Dott. Claudio Imbriani , già dirigente apicale di B.N.L. (e non Direttore di una delle filiali di Lucca, essendo stato fra il 1997 ed il 2002 Capo Area per le provincie di Lucca, Massa Carrara e La Spezia, oltre che di parte di quella di Pistoia) , non aveva nulla a che vedere con fattispecie penali né , tantomeno , era prestanome di Massimo Ciancimino. Ciò è stato ben evidenziato dalla Procura (D.D.A.) e dal G.I.P. di Roma , che ne hanno rispettivamente chiesto e dichiarato il proscioglimento già nel corso delle indagini, con conseguente cancellazione dal registro degli indagati. La condotta del Dott. Imbriani, meramente consulente della parte interessata acquirente delle quote della ECOREC , è stata , in particolare , riconosciuta penalmente irrilevante . Circa le altre accuse a lui riferite (associazione a delinquere, truffa, ecc.), si sottolinea che nessuna delle stesse ha retto alle fasi dibattimentali, essendo stata dichiarata l'assoluzione del Dott. Claudio Imbriani , che ha rinunciato alla prescrizione , "perché il fatto non sussiste" e, in un solo caso , "per non aver commesso il fatto". Il processo riferito a queste ultime accuse, su ricorso presentato effettivamente "all'ultimo momento" su istanza ex art. 572 c.p.p. di una sola delle parti civili , pende intanto presso la Corte di Cassazione.

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  2. Claudio

    È doveroso precisare che il Dott. Claudio Imbriani è stato definitivamente assolto con sentenza della Corte di Appello di Firenze del 22/06/2021, divenuta irrevocabile il 5/11/2021.
    L'assoluzione , come quella base del Tribunale di Lucca, è stata data "con formula piena", anche evidenziando perplessità sui comportamenti nella vicenda del duo ex datore di lavoro, oltre che la perfetta regolarità delle operazioni contestate e la loro conoscenza nell'ambito della struttura bancaria da parte di tutte le funzioni interessate. Intanto , dopo 14 anni di gravi sofferenze , a restare è soltanto l'enorme credito, sotto i diversi profilo, di chi ha subito , con la sua famiglia (anche con figli minorenni) una eufemisticamente ingiusta accusa.
    Pertanto

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