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denise pipitoneOgni ora ne scompare uno, per scelta o perché è vittima di un reato, ma nell’ottanta per cento dei casi nessuno sa dire che fine ha fatto e perché se n’è andato. Dal 1° gennaio ‘74 al 31 ottobre dello scorso anno le persone scomparse in Italia, ancora da rintracciare, sono 25.871. Di questi: 10.755 sono cittadini italiani; 15.103 quelli maggiorenni; 60 (di cui 11 minorenni) le possibili vittime di reato. I minori scomparsi sono 10.768, di cui 1.994 di nazionalità italiana. Le regioni dove il fenomeno continua ad assumere particolare rilievo sono il Lazio (6.479 casi), la Lombardia (3.490), la Campania (3.198), la Sicilia (2.382) e il Piemonte (1.859).
È un fenomeno in preoccupante crescita, quello degli scomparsi, e confrontando le statistiche c’è da segnalare anche un incremento, poco confortante, tra il 2008 e il 2009, di oltre 1.300 casi. È il primo dato che salta all’occhio leggendo la quarta relazione semestrale redatta dal prefetto Michele Penta, Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse. Nell’ottanta per cento dei casi (20.677) non si conosce la motivazione che li ha spinti ad allontanarsi da casa e dai propri affetti. I casi accertati, per fuga volontaria, sono 2.631; 1.775 per allontanamento da istituto o comunità; 134 sottrazioni da parte di un coniuge o di un altro congiunto. Solo nel due per cento dei casi (594) - dice il Commissario nell’ultima relazione trasmessa al Viminale - è stata accertata l'esistenza di possibili disturbi psicologici.
Fino a qualche giorno fa, in questo interminabile elenco, c’era anche il nome di Elisa Claps, 16 anni, scomparsa nel nulla da Potenza la mattina del 12 settembre '93. Stava passeggiando in centro con una sua amica, a cui aveva detto di doversi allontanare qualche minuto per incontrare Danilo Restivo, un ragazzo, poco più grande di lei, che la sera prima gli aveva dato appuntamento vicino la chiesa della Santissima Trinità. Da quel momento - come racconta la scheda dedicata a questo caso da “Chi l’ha visto?” - nessuno ha avuto più notizie di Elisa. Anni di indagini, colpi di scena, segnalazioni che giungevano da ogni angolo del mondo, anche da Argirocastro, un villaggio sperduto sulle montagne del sud dell'Albania. Gli inquirenti non credono al racconto di Restivo, troppe cose non combaciano, lo arrestato nel ’94, quattro anni dopo la Corte d’Appello lo condanna anche per false dichiarazioni al pm. Nel ’99 c’è un altro colpo di scena che, però, non porta da nessuna parte, l’ultimo prima che questa storia finisca nel peggiore dei modi: nella casella postale del sito dedicato alla scomparsa della ragazza giunge un messaggio nel quale si afferma che Elisa sta bene, si trova in Brasile, non vuole tornare in Italia e non vuole rivedere i suoi familiari. Ma quell’e-mail, accerteranno gli inquirenti, partì da un pc installato in un bar di Potenza. La svolta sul caso è recentissima: Elisa Claps è stata uccisa, non si è mai mossa da Potenza. Il suo corpo è rimasto per diciassette anni nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità, a due passi da dove era scomparsa, e a trovarlo lì, il 17 marzo scorso, sono stati alcuni operai che in seguito ad un'infiltrazione d’acqua stavano effettuando dei lavori. Ora le indagini dovranno chiarire chi l’ha uccisa dopo averla violentata.
Un altro mistero irrisolto, un altro nome che compare nell’elenco dei 25.871 missing, è quello della piccola Angela Celentano, 3 anni, scomparsa nel nulla il 10 agosto ’96 mentre, insieme ai suoi genitori, partecipava alla gita annuale della Comunità Evangelica di Vico Equense, sul Monte Faito in provincia di Napoli. Intorno alle 11 il padre si accorge che la piccola Angela non è più lì intorno a giocare, un bambino racconta di essere sceso insieme a lei, poco prima, per il sentiero che porta al parcheggio, per posare in macchina il suo pallone. Ma lei non torna indietro e scompare, proprio tra quei sentieri. Il caso Celentano, così come tanti altri, a distanza di quattordici anni è tuttora irrisolto.
È il 1° settembre 2004, siamo a in provincia di Trapani, a Mazara Del Vallo. Una bambina di 4 anni, Denise Pipitone, sta giocando sul marciapiede davanti alla porta di casa e intorno a mezzogiorno anche lei scompare nel nulla. Denise la cercano in tutto il mondo, prima di arrivare a una terribile conclusione: per gli inquirenti è stata rapita da Jessica Pulizzi, oggi sotto processo davanti al Tribunale di Marsala, con l’accusa di concorso in sequestro di minore, insieme all'ex fidanzato, il tunisino Gaspare Ghaleb. La ragazza avrebbe rapito la sorellastra per vendetta e gelosia, perché la sua nascita sarebbe frutto di una relazione extraconiugale del padre.
L’elenco dei minori scomparsi è lungo e le storie, tutte tristemente simili, non sempre finiscono in prima pagina. Ci sono quelle delle due quindicenni cittadine vaticane, scomparse a Roma nella primavera del ’83: Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi. Ma anche altre decine di nomi di bambini che nessuno ricorda più: Santina Renda (6 anni, scomparsa a Palermo il 23 marzo ‘90); Pasqualino Porfidia (8 anni, Marcianise, 7 maggio ‘90); Adriana Benedetta Roccia (2 anni, Cetraro, 10 giugno ‘90); Mariano Farina e Salvatore Colletta (12 anni entrambi, scomparsi da Casteldaccia il 31 marzo ‘92); Simona Floridia (17 anni, Caltagirone, 16 settembre ‘92); Angela Ponte (14 anni, Siracusa, 2 gennaio ‘93); Domenico Nicitra (10 anni, Roma, 21 giugno ‘93).
Un altro dato, molto significativo, è riferito al numero di cadaveri non ancora identificati. Al 30 novembre - afferma la stessa relazione del Commissario del Governo - sono 785 i corpi senza un nome conservati nelle celle frigorifere degli istituti di medicina legale italiani, di questi 126 sono stati recuperati in mare e nessuno, finora, è riuscito ad attribuirgli un’identità. Dal ‘95 un pool di esperti del Labanof (Laboratorio di antropologia e odontologia dell'Istituto di Medicina legale dell'Università di Milano) tenta di dare un’identità a questi corpi. Mettono insieme decine di indizi, studiano ogni singolo caso dall'epoca della morte, comparano le differenza fra lesività perimortali e post-deposizionali, ricostruiscono il profilo biologico di resti umani tramite la diagnosi di sesso, età, statura, razza, patologie e segni occupazionali. Un vero e proprio rompicapo, che passa anche per la ricostruzione cranio-facciale e l'identificazione dei resti con tecniche di ricostruzione dattiloscopica e di sovrapposizione computerizzata. Un lavoro necessario, perché proprio da un sondaggio compiuto dal Labanof in dodici istituti di medicina legale è risultato che negli ultimi cinque anni su 366 soggetti “sconosciuti” negli obitori ne rimangono ancora 130 senza un nome.
Sono quattro (due alla Camera e due al Senato) le proposte legislative avanzate dai vari gruppi parlamentari per fare fronte al fenomeno degli scomparsi e dei cadaveri senza nome. L'iter avanza, da due legislature, assai lentamente, come nel caso della proposta al vaglio della Commissione Affari costituzionali del Senato che prevede la costituzione di una banca dati centrale del Dna degli scomparsi, di un’anagrafe degli obitori, di numeri verdi per fornire notizie e, soprattutto, l’avvio immediato delle indagini dopo una sparizione. Il Partito democratico, sull’onda del caso Claps, ha chiesto che il testo unico messo a punto dal relatore Filippo Saltamartini (Pdl) venga approvato a Palazzo Madama subito dopo Pasqua con la corsia preferenziale della commissione deliberante. Quattro articoli in tutto. Il primo riguarda la denuncia di persone scomparse e prevede che chiunque ne abbia notizia possa informare la polizia giudiziaria per l'avvio delle ricerche. La segnalazione viene trasmessa immediatamente alla questura o al comando dei carabinieri oltre che al Prefetto. Per coordinare l'attività di ricerca viene istituito al ministero dell'Interno il Comitato per il coordinamento delle iniziative di ricerca delle persone scomparse presieduto da un commissario nominato dal Consiglio dei ministri. Il commissario assicura il monitoraggio dei casi e la valutazione dello stato delle ricerche e riferisce annualmente al Viminale, come fa attualmente il Commissario straordinario. La proposta prevede anche l’attivazione di un sistema informativo integrato per la ricerca degli scomparsi (il Risc), in parte già avviato presso il Dipartimento della pubblica sicurezza, in grado di catalogare anche i cadaveri non identificati. Il testo messo a punto da Saltamartini prevede, infine, anche permessi retribuiti per i familiari che sono costretti ad allontanarsi dal posto di lavoro (sia pubblico che privato) perché un loro congiunto è scomparso. Un’altra proposta, presentata dal senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, prevede l'istituzione della banca dati nazionale dei campioni di Dna. Delle proposte depositate alla Camera, ce n’è anche una bipartisan, prima firmataria di Rosa Villecco Calipari (Pd), sottoscritta anche da Idv, Udc e Pdl. Il testo prevede, tra l'altro, l'istituzione di un numero verde ma anche quella di un ufficio centrale degli obitori per favorire la rapida identificazione di cadaveri.

di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 15 aprile 2010 [pdf]

pier-paolo-pasolini«Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno gli indizi». Trentacinque anni dopo la morte di Pier Paolo Pasolini, parafrasando il suo celebre “Romanzo delle stragi”, una nuova inchiesta giudiziaria potrebbe spingere la Procura di Roma a cercare nuove prove e nuovi indizi e a rimettere tutto in discussione. Per la giustizia, quella notte tra l’1 e il 2 novembre ’75 all’Idroscalo di Ostia, l’intellettuale fu ucciso da Giuseppe Pelosi, detto “Pino la Rana”, reo confesso, condannato in via definitiva nel ’79, per omicidio volontario in concorso con ignoti, a 9 anni e 7 mesi. Per molti dietro l’uccisione di Pasolini ci sarebbe, invece, tutta un’altra verità e una lunga serie di interrogativi a cui la scienza, oggi, potrebbe addirittura dare delle inedite risposte.
I mille misteri. Un filo rosso legherebbe il delitto dello scrittore con le misteriose sorti del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, morto nell'incidente aereo di Bascapè il 27 ottobre ’62, e del giornalista Mauro De Mauro, assassinato dalla mafia a Palermo, il 16 settembre ’70, reo di indagare proprio sulla fine di Mattei. Questa è una delle tesi più accreditate che, tra l’altro, è fortemente legata ai contenuti di un capitolo del romanzo “Petrolio”, ancora inedito, mai concluso da Pasolini e mai pubblicato nelle varie edizioni postume, che sarebbe ricomparso, recentemente, nelle mani del senatore Dell’Utri. Prove e indizi sarebbero ancora da ricercare, anche con l’aiuto della scienza che in questi trent’anni ha fatto passi da gigante sulla scena del crimine e che - come nel caso della recente svolta nelle indagini sul delitto di via Poma - potrebbe clamorosamente rimettere tutto in discussione. Tutto da rivedere, daccapo, quindi, con un occhio al microscopio e l’altro anche alle indagine del pm Vincenzo Calia della Procura di Pavia sul sabotaggio dell’aereo di Mattei e l’uccisione di De Mauro.
Il ruolo di “Pino la rana”. Da rivedere, fin dall’inizio, poi, il ruolo di Pelosi che nel 2005 ritrattò tutto ai microfoni di “Ombre sul giallo” affermando, senza mezzi termini, che lui quella sera non partecipò in prima persona all'aggressione di Pasolini, ma che questa fu compiuta da tre persone a lui sconosciute. Pelosi, che all’epoca del delitto aveva 17 anni, si rimangia tutto eppure, quella notte, prima di finire in galera, raccontò agli inquirenti un’altra storia. Ripercorse quei terribili momenti, descrivendo minuziosamente come lui e il famoso regista - che fino ad allora non conosceva neanche per sentito dire - si erano incontrati vicino la stazione Termini. Raccontò come erano arrivati a Ostia, a bordo dell’Alfa 2000 GT di Pasolini, e come, poco dopo, Pino lo aveva massacrato, a bastonate, travolgendo con la sua stessa auto. “Interrogato - dice la Cassazione - Pelosi confessò di aver ucciso Pasolini, sostenendo di aver agito per legittima difesa, dopo essere stato aggredito per essersi rifiutato di sottostare a una prestazione sessuale”. Ma, di fatto, il primo a non vederci chiaro fu il giudice Alfredo Carlo Moro, fratello del presidente della Dc Aldo, che condannando in primo grado Pelosi, nel ’76, sottolineò che dalle indagini era emersa, in modo imponente, la prova che quella notte Pelosi non era solo. “Esistono infatti sia prove positive che dimostrano in modo inequivocabile - scrive il collegio Moro - che quanto meno un'altra persona era presente al fatto, sia elementi indiziari univoci e concordanti, desumibili dalle risultanze probatorie e peritali, che confortano tale tesi”.
Il pressing di Veltroni. «Sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini, come per altri fatti della orribile stagione del terrore, si deve continuare a cercare la verità». Scrive l'ex segretario del Pd Walter Veltroni in una lettera aperta, diretta al ministro della Giustizia Angelino Alfano, pubblicata dal Corriere il 22 marzo scorso. L’esponente democratico sollecita la riapertura dell’inchiesta quattro giorni dopo aver presentato un’interpellanza alla Camera in cui chiedeva al ministro per i Beni culturali, Sandro Bondi, di accertare un altro aspetto, altrettanto oscuro, che riguarda proprio la misteriosa esistenza dell’ultimo capitolo del romanzo “Petrolio”. Il titolo era “Lampi su Eni” e Pasolini pare l’abbia scritto, ma non ultimato, poco prima di essere assassinato, ma la bozza non si è mai trovata, forse fu addirittura trafugata dall’abitazione dello scrittore. Veltroni fa riferimento alle dichiarazioni rilasciate qualche giorno prima dal senatore Marcello Dell'Utri che, tuttavia, dice di aver letto quel capitolo a ridosso dell’inaugurazione (il 2 marzo) della Mostra del libro antico alla Permanente di Milano. Bondi conferma: «Dell'Utri ha avuto tra le mani e letto le 70 pagine del capitolo scomparso». Il ministro assicura anche che ci saranno accertamenti perché, va da sé, quel capitolo potrebbe fare chiarezza su temi rilevanti della storia recente. Ma a infittire il mistero sono le parole di Dell’Utri: «Ho sfogliato quel capitolo, - dice il senatore del Pdl all’Ansa - scritto su carta velina. Mi è stato mostrato; non l'ho potuto leggere. Aveva anche un titolo “Lampi su Eni”. Me lo ha portato una persona che non conosco. Credo che questa persona, visto il clamore, probabilmente eccessivo che il mio annuncio ha suscitato, si sia messo in allarme». Secondo alcuni studiosi quel manoscritto conterrebbe elementi inediti sulla morte di Mattei e De Mauro e perciò anche dello stesso Pasolini. Una tesi, quella che tra i tre fatti ci sia un legame, fortemente sostenuta anche nel libro inchiesta dei giornalisti Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, “Profondo nero” (Chiarelettere, 2009).
Le nuove indagini. Restando ai dati di fatto, a quanto avvenne quella notte all’Idroscalo, una nuova indagine potrebbe ricostruire la scena del delitto, magari anche tornando ad analizzare il paletto con cui fu ripetutamente percosso Pasolini, i suoi vestiti, il plantare per scarpa destra ritrovato nell’auto del poeta, ma che a lui non apparteneva, così come un vecchio pullover verde. L’indagine si può riaprire, è una scommessa. Anche il penalista Nino Marazzita, avvocato della famiglia Pasolini insieme a Guido Calvi, ne è convinto: «Riaprire l'inchiesta - ha detto all’Ansa - sarebbe un primo passo, ma serve la volontà di accertare la verità. I dubbi e le ombre c'erano già al momento del processo a Pelosi. Era evidente già all'epoca la presenza di complici. Nel tempo le ombre sono aumentate e le richieste di riapertura del caso sono state tante. Alla luce ora delle nuove tecnologie disponibili, dall'esame del dna e a quello dei reperti, mi chiedo - chiosa Marazzita - perché non utilizzarle?». Eppure qualcuno, lo scorso anno, aveva già chiesto alla Procura di riaprire il caso Pasolini, in concomitanza con l’uscita del libro “Profondo nero”, e un fascicolo, di cui non se ne sa più nulla, alla fine fu aperto dalla pm Diana De Martino. Erano stati la criminologa Simona Ruffini e l'avvocato Stefano Maccioni a depositare la richiesta a piazzale Clodio. «Dobbiamo rilevare - dice Maccioni a Il Punto - che la nostra richiesta di riapertura delle indagini è stata condivisa dall'onorevole Veltroni anche sul piano dei contenuti. Ci auguriamo che le nuove notizie riguardanti il ritrovamento del capitolo di Petrolio, a opera del senatore Dell'Utri, possano finalmente portare gli inquirenti a effettuare i necessari riscontri sui reperti conservati al Museo criminologico di Roma».

di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 8 aprile 2010 [pdf]

Palermo, via Emanuele Notarbartolo. Le sedi “coperte” dei Servizi sono più o meno tutte uguali. Centrali, nascoste tra mille altre attività e tra le mura di edifici anonimi, che di solito sorgono vicino a importanti sedi governative. Uffici facilmente accessibili, spesso protetti da un portiere che sa tutto e che fa finta di nulla. Solitamente si nascondono dietro le insegne di finte agenzie assicurative oppure di inesistenti centri studio, associazioni culturali, istituti di cooperazione o di import-export. Sul campanello c’è scritto semplicemente “agenzia”, “studio”, “istituto” o la sigla di una delle tante Srl che le “barbefinte” utilizzano per coprire l’attività di spionaggio. ...continua a leggere "Le sedi “coperte” dei Servizi siciliani. Misteri palermitani sotto copertura"

Fu Franco Restivo, ex ministro democristiano degli Interni e della Difesa, a far incontrare Don Vito Ciancimino e il misterioso personaggio legato ai Servizi segreti conosciuto col nome di “Signor Franco”. Evocato spesse volte da Massimo Ciancimino nelle aule di tribunale, nei processi dove viene ascoltato dai giudici in qualità di testimone o di imputato di reato connesso, ma non solo. Il figlio di Don Vito, quel “Signor Franco” (spesse volte Signor Carlo), lo fa giocare in un ruolo chiave nelle più intricate vicende palermitane. ...continua a leggere "Stato-mafia, ora si punta al IV livello"