FABRIZIO COLARIETI

Vittime collaterali

Questa storia, più di altre, insegna tante cose. Per esempio che la morte ti si avvicina non solo quando sei vecchio o malato. La gelida Signora ti si accosta anche quando diventi scomodo, quando tocchi con mano la verità e il segreto, oppure quando sei rimasto solo e disarmato. A quel punto sei già morto, resta solo da capire quando e cosa ti accadrà.
Giovanni Falcone, quando il suo destino era prossimo a Capaci, diceva che generalmente si muore perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande o, peggio ancora, perché non si dispone delle necessarie alleanze o si è privi di sostegno. Parole che valgono anche per gli ottantuno passeggeri del Dc9 Itavia precipitato nel mare di Ustica il 27 giugno 1980: quella sera erano soli, erano dentro un gioco più grande di loro, non avevano alleati e nessuno poteva salvarli. Ma vale anche per coloro - almeno due - che dopo quei fatti, con ogni probabilità essendone stati testimoni oculari, hanno incontrato sulla loro strada la gelida Signora. La loro sorte, le loro storie, sono un mistero nel mistero. Le chiamano morti sospette e se nell’affaire Ustica la verità è la vittima numero 82, loro - Mario Alberto Dettori e Franco Parisi - sono i morti numero 83 e 84.
Il giudice Priore gli ha dedicato un capitolo della sua lunga sentenza-ordinanza e, non a caso, quel capitolo s’intitola Le morti sospette. E’ un elenco: 13 nomi, 13 morti. Gli ultimi due sono proprio loro, Dettori e Parisi, e le loro storie sono narrate in un paragrafo a sé che ha un titolo che dice tutto ciò che c’è da sapere: I decessi per i quali permangono indizi di collegamento con il disastro del Dc9 e la caduta del MiG. Priore, nelle premesse, dice anche una cosa importante: in questa storia non si sarebbero dovute determinare necessità estreme di soppressioni, se non nei casi eccezionali di testi diretti, tecnici, in possesso di larga parte dei fatti. Di testi cioè fonti, non smentibili o da mostrare come usciti di senno.
A Dettori e Parisi, in vita e in morte, è toccato lo stesso destino. Erano avieri, erano entrambi marescialli, lavoravano ai radar ed erano - tutti e due - in servizio quando l’affaire montava. Dettori - con alta probabilità - la sera del 27 giugno 1980, mentre il Dc9 finiva nel Tirreno, era in servizio al radar della base di Poggio Ballone. Parisi - con certezza - il successivo 18 luglio, il mattino in cui secondo la stessa Aeronautica militare quel MiG libico cadde sulla Sila, era al radar della base di Otranto. Erano, perciò, testimoni oculari e in servizio con ruoli delicatissimi. Testi diretti, non smentibili.
Quando si assume lo status di testimone, spesso, si rischia la pelle. Alcune morti, poi, servono a dare una lezione a chi resta in vita, a chi, come loro, aveva visto e sapeva. Perciò nessuno, tranne loro, potrà mai dire se questi due uomini in divisa furono suicidati o si suicidarono, ma appare sufficientemente certo che entrambi erano a conoscenza di qualcosa che non è stato mai ufficialmente rivelato. Una verità indicibile, un segreto da custodire e difendere in ogni modo e di fronte al quale altri due morti sono solo un danno collaterale.

Tratto da "Vittime collaterali" di Fabrizio Colarieti (Adagio, 2013)
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