FABRIZIO COLARIETI

Ustica, riesumata la salma di un radarista in servizio la notte della strage

«Venuti a conoscenza di fatti diversi dalle ricostruzioni ufficiali, rivelano la loro conoscenza in ambiti strettissimi, ma non al punto tale da non essere percepita da ambienti che li stringono od osteggiano anche in maniera pesante. E così ne restano soffocati. E quindi, anche se non si raggiunge la prova di atti omicidi, resta che gli atti di costoro, se suicidi, furono determinati da stati psichici di profonde prostrazioni connesse con gli eventi».
Scriveva così il giudice Rosario Priore, nel '99, nella sentenza-ordinanza che chiudeva la colossale istruttoria sul disastro di Ustica (27 giugno 1980, 81 morti), accennando alle strane morti - “sulle ginocchia” - di due radaristi che avevano incrociato la strada di uno dei misteri più longevi della storia repubblicana.
Quei morti, su cui ancora oggi permangono forti dubbi e pesanti sospetti di connessione con le sorti del Dc9 Itavia precipitato tra Ustica e Ponza, erano Mario Alberto Dettori, guida-caccia in servizio al radar di Poggio Ballone, e Franco Parisi, anche lui radarista, ma nella base di Otranto.
A 37 anni di distanza da quella notte, in cui l'aereo civile italiano si trovò, a detta degli inquirenti, al centro di una battaglia aerea di cui rimase vittima fortuita, la Procura di Grosseto ha ordinato l'esumazione della salma di Dettori, trovato morto impiccato il 31 marzo 1987. Gli inquirenti vogliono vederci chiaro, innanzitutto perché l'indagine che fu compiuta all'epoca della sua morte si limitò, nell'arco di poche settimane, ad arrivare alla conclusione che il radarista era depresso, anzi ossessionato, tanto da decidere di farla finita.
Una conclusione a cui non hanno mai creduto i suoi familiari, perché a loro dire la fine del loro caro iniziò proprio la notte di Ustica. La mattina seguente, tornando dalla base, disse alla moglie che era “successo un casino; qui vanno tutti in galera”, poi, a sua cognata, confidò che sempre quella notte c'era “mancato poco che scoppiasse la guerra” e poi ancora, “sai, l’aereo di Ustica, c’è di mezzo Gheddafi, è successo un casino”.
A partire dal marzo 1986, Dettori finisce in un tunnel da cui non uscirà più. Viene trasferito per un periodo di affiancamento in una base francese. Inizia a comportarsi in modo anomalo, sta male, si reca continuamente dai medici, smonta il telefono di casa alla ricerca di microspie e vede una strana scritta sul muro: “Il silenzio è oro e uccide”.
Rientra in Italia sei mesi dopo, l’Istituto medico legale dell’Aeronautica militare parla di “postumi da sindrome depressiva” e lo giudica inabile. Poco dopo lo troveranno impiccato, con i piedi che toccano a terra.
Il giudice Priore, chiudendo l'inchiesta su Ustica, invitò la Procura di Grosseto a indagare a fondo, perché sulla morte di Dettori “restano indizi che egli fosse in servizio la sera del disastro in sala operativa, che sia stato teste di quanto avvenuto e 'visto' da quel radar che aveva visione privilegiata su tanta parte della rotta del DC9 e di quanto intorno ad esso s’è consumato”.
Lo farà oggi, per fugare ogni dubbio, anche se sono passati 30 anni dalla sua morte e anche se difficilmente l'autopsia, che all'epoca non fu effettuata, potrà dare delle risposte tali da riscrivere una storia, quella di Ustica, che nessuno è ancora riuscito a scrivere fino in fondo.

di Fabrizio Colarieti per ilmessaggero.it [link originale]

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