FABRIZIO COLARIETI

Il caso Moro e la beffa dei documenti che rimarranno segreti fino al 2019

Aldo MoroIl deputato del Pd Paolo Bolognesi vuole vederci chiaro in merito alla vicenda che ha visto negare all’ex pm Giuliano Turone l’accesso ad alcuni documenti relativi al caso Moro che il magistrato aveva chiesto di consultare presso l’Archivio della Senato. Richiesta respinta con la motivazione che l’Aisi, l’agenzia di intelligence che ha preso il posto del Sisde, per due dei cinque documenti richiesti da Turone “ha stabilito la proroga della classifica (del segreto, ndr) fino al 2019″.
Bolognesi, che rendendo nota la vicenda aveva affermato che la scelta dell’Aisi «tradisce la volontà politica di trasparenza rappresentata dalla recente direttiva del Governo», ha chiesto un incontro al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, insieme ai rappresentanti della Rete degli Archivi per non dimenticare. Negando l’accesso ai documenti all’ex pm Turone, ha aggiunto Bolognesi, «è evidente che in questo modo sarà molto difficile la battaglia di verità che insieme a molte Associazioni stiamo conducendo da anni».
«Vogliamo approfondire con il presidente Renzi – ha dichiarato l’esponente democratico -, sensibile come è noto alla questione della liberalizzazione degli atti relativi alle stragi del nostro Paese, alcune criticità relative all’attuazione da parte degli enti interessati della sua stessa direttiva del 22 aprile scorso che ha previsto la declassificazione e il versamento all’Archivio centrale dello Stato dei documenti relativi alle stragi (1969-1984)».
Sempre sul Moro, il vicepresidente dei deputati del Partito Democratico, Gero Grassi, tra i promotori della Commissione parlamentare d’inchiesta che dovrà indagare sul sequestro e l’assassinio dello statista democristiano, è intervenuto con un’interrogazione per chiedere a Renzi «che tempi siano previsti per la conclusione del processo di liberalizzazione di molti documenti che riguardano le stragi nel nostro Paese ed anche il caso Moro».
Grassi spiega che «il processo avviato è molto complesso mentre, nel frattempo, ricercatori e studiosi continuano a vedersi spesso negato l’accesso agli atti perché gli enti che li hanno emessi non provvedono alla loro declassifica, una decisione, è bene ricordarlo, che può essere presa solo dagli enti stessi. Per quanto riguarda il caso Moro circa il 30% dei documenti conservati dall’Archivio storico del Senato è classificato, circostanza che impedisce a questo archivio, come è noto autorevole luogo di raccolta di documenti che riguardano i casi più controversi della nostra storia recente, di poter rispondere positivamente alle richieste dell’utenza».
«Inoltre – continua Grassi – ho sollevato nella mia interrogazione il problema del taglio dei finanziamenti all’Archivio Centrale dello Stato, struttura che conserva la storia del Paese attraverso milioni di documenti. La questione è stata anche sollevata da una recente inchiesta giornalistica e richiede attenzione da parte del governo anche perché è proprio lì che dovrebbero arrivare le centinaia di faldoni legati alle stragi desecretate dal governo Renzi».
«Siamo convinti – ha concluso il vicepresidente dei deputati del Pd – che il nostro Paese ha bisogno della verità ma occorre grande determinazione perché è davvero inaccettabile che alcuni gruppi parlamentari non abbiano ancora indicato ai presidenti di Camera e Senato i loro componenti della nuova Commissione d’inchiesta sul caso Moro: si tratta di uno strisciante tentativo di boicottaggio che ho già denunciato pubblicamente».
Secondo Marco Carra, un altro deputato del Pd impegnato su questo stesso fronte, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro non ha avviato le sue attività non solo a causa di un ritardo burocratico, ma anche per «un’evidente volontà di impedire che la Commissione inizi a lavorare, come il nostro vicepresidente Gero Grassi, tra i promotori di questo organismo, ha più volte denunciato. La gravità della situazione – ha aggiunto – non può essere taciuta, la presidente Boldrini intervenga subito e solleciti i gruppi ritardatari perché il loro ostruzionismo mina la credibilità dell’iniziativa nei confronti dell’opinione pubblica».

di Fabrizio Colarieti

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