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Gero Grassi«La Commissione Moro cercherà in ogni modo la verità, perché il Paese ne ha bisogno anche per evitare il ripetersi di tragedie come questa». E' quanto afferma, rispondendo alle nostre domande, il vice presidente dei deputati del Partito democratico, Gero Grassi, promotore del disegno di legge che ieri ha incassato il via libera del Senato e che porterà all'istituzione di una nuova Commissione parlamentare d'inchiesta sul sequestro del presidente della Dc. Grassi, già autore di un voluminoso dossier sullo stesso caso, è fermamente convinto che a distanza di 36 anni dal sequestro e dall'assassinio di Aldo Moro il Parlamento riuscirà a fare luce su una delle pagine più drammatiche della storia repubblicana «perché i tempi sono cambiati e le condizioni storiche dovrebbero consentirlo». «Girando l'Italia per presentare il dossier sul tema "Chi e perché ha ucciso Aldo Moro" - aggiunge il vice presidente dei deputati del Pd - ho percepito una grande volontà di verità su una bruttissima pagina della nostra Repubblica».
Onorevole Grassi, le precedenti Commissioni non sono riuscite a fare luce su molti aspetti ancora oggi poco chiari, cosa le fa pensare che questa volta il Parlamento ce la farà?
«La forza di volontà e la determinazione di rendere giustizia ad un uomo morto per la libertà e la democrazia. Aggiungo anche la passione morotea di sapere e conoscere, avendo conosciuto Aldo Moro nel lontanissimo novembre 1963, quando avevo cinque anni e mezzo. Quando Moro fu rapito, il 16 marzo 1978, feci il mio primo comizio e sostenni sempre la necessità della trattativa, tesi allora respinta come demoniaca e lesiva della integrità dello Stato, oggi quasi unanimemente accettata». ...continua a leggere "«La verità storica sul caso Moro sarà consegnata al Paese»"

Giovanni Falcone«Una violenta esplosione è avvenuta sull’autostrada Palermo-Trapani all’altezza dello svincolo di Capaci, un paese a 20 chilometri da Palermo. L’esplosione ha investito alcune automobili in transito e sventrato un tratto dell’ autostrada. Sul posto si sono recati numerose auto di polizia e carabinieri, autoambulanze ed elicotteri delle forze dell’ ordine per soccorrere i feriti. Gli investigatori stanno accertando se si tratti di un attentato ad una «nota personalità» che percorreva l’ autostrada».
Il primo lancio dell’agenzia Ansa arriva alcuni minuti dopo le 18, sono solo poche righe. L’esplosione è avvenuta alle 17.56, a fissare l’ora esatta dell’attentatuni sono i sismografi della stazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica di Monte Cammarata. E’ come un sussulto che arriva dalle viscere della terra, ma non è un terremoto.
Alle 19 l’Ansa annuncia che si tratta di un attentato in cui è rimasto ferito il giudice Giovanni Falcone. «Il giudice Giovanni Falcone, direttore generale del Ministero di Grazia e Giustizia, è rimasto gravemente ferito in seguito ad un attentato mentre percorreva l’autostrada Trapani-Palermo ed è stato ricoverato in ospedale. Alcuni uomini della sua scorta sarebbero rimasti uccisi».
Ore 19.31. «Secondo quanto si è appreso da fonti investigative, il giudice Falcone sarebbe «clinicamente morto». La moglie è in gravissime condizioni». Alle 19.44 segue una prima ricostruzione di quanto è accaduto a Capaci. «L’attentato al giudice Falcone sarebbe avvenuto intorno alle 18,20 (l’orario esatto è le 17.56, ndr) sulla autostrada A 29 all’altezza di Capaci (Palermo). Un’autobomba sarebbe stata fatta esplodere al passaggio delle 5 macchine della scorta (si accerterà che l’esplosivo era stato collocalo sotto l’autostrada, ndr). Nell’attentato sono rimaste coinvolte sette autovetture. Numerosi sarebbero anche i feriti, ricoverati anche nell’ospedale civico di Palermo e in un altro nosocomio locale, fra questi, la moglie Francesca Morvillo, Giudice della Corte d’ Appello di Palermo».
Dopo l’esplosione il primo ad accorrere sul posto è stato un contadino, Salvatore Gambino, che stava dissodando un terreno ai margini dell’autostrada. «Ha raccontato di avere estratto dalla Croma bianca il corpo di una donna (Francesca Morvillo) – scrive l’Ansa – e di un uomo gravemente ferito, quasi certamente lo stesso Falcone che era apparentemente alla guida della vettura».
Falcone è arrivato al pronto soccorso dell’ospedale civico di Palermo intorno alle 19. «Il responsabile del reparto, Francesco Crisci, ne ha rilevato l’avvenuto arresto cardiaco. Il magistrato, nell’attentato ha riportato fratture in molte parti del corpo. La salma – scrive l’Ansa alle 20.52 – è stata composta provvisoriamente in una saletta attigua al pronto soccorso. Molti suoi colleghi di Palermo sono entrati per pochi attimi: Leonardo GuarnottaGuido Lo ForteGianfranco GarofaloGiusto Sciacchitano, l’ ex presidente della Corte di Appello Carmelo Conti, i procuratori aggiunti Elio Spallitta e Paolo Borsellino».
La notizia che Giovanni Falcone è morto viene battuta alle 19.43. «Il procuratore della repubblica Pietro Giammanco ha confermato che Giovanni Falcone è morto. Nell’ attentato sarebbero morti anche tre agenti di polizia. Secondo la ricostruzione del Procuratore, gli attentatori avrebbero utilizzato un migliaio di chilogrammi di esplosivo (in realtà tra i 400 e i 500 chili, ndr), piazzato in un sottopassaggio dell’autostrada. Quando è avvenuta l’ esplosione, si è aperta una voragine che ha coinvolto la macchina che precedeva quella di Falcone e altre due che seguivano, una delle quali non faceva parte del corteo. In quest’ultima automobile sarebbero rimaste uccise due persone. Nell’ospedale civico di Palermo, dove sono stati trasportati i feriti e dove i medici hanno constatato la morte di Giovanni Falcone, è ricoverata nel reparto di neurochirurgia sua moglie che avrebbe riportato anche fratture alle gambe».
Alle 21.46 l’Ansa conferma che anche i tre uomini della scorta sono morti: «Sono: Antonio MontinaroRocco Dicillo e Vito Schisano. Quest’ ultimo aveva 27 anni e lascia un bambino di quattro mesi e la moglie Rosalia di 24 anni. Un quarto membro della scorta, l’autista giudiziario Giuseppe Costanza, è ferito ed è ricoverato nell’ospedale civico da dove le salme sono state trasferite nell’Istituto di Medicina Legale dell’Università».
Intorno alle 21 si fa viva anche la Falange Armata. «Con una telefonata alla sede Ansa di Palermo, un uomo che ha detto di parlare a nome della “Falange armata” ha dettato il seguente comunicato: “la Falange armata ha lunga memoria e l’ avviso lanciato come di consueto tramite questa Agenzia nei giorni scorsi aveva bene un senso. Seguirà un chiaro comunicato».
Alle 22.44 il capo di gabinetto della questura di Palermo riferisce all’Ansa che le condizioni della moglie di Falcone sono molto gravi: «è ancora sottoposta ad intervento chirurgico in neurochirurgia, all’ospedale civico». Alle 23.10 arriva la notizia che anche Francesca Morvillo è deceduta. «L’ufficio di gabinetto della prefettura di Palermo ha detto che Francesca Morvillo è morta alle 22,58 mentre veniva sottoposta a intervento chirurgico».

di Fabrizio Colarieti

SuburraGirandosi tra le mani Suburra, l'ultimo libro del giudice-scrittore Giancarlo De Cataldo, scritto con il giornalista di Repubblica Carlo Bonini, che riprende la storia criminale di Roma dove l'aveva lasciata Romanzo Criminale accompagnandola fino ai giorni nostri, in molti si saranno chiesti se l'immaginario ristorante romano Paranza non fosse altro che l'Assunta madre.
La cronaca racconta che tra le mura del noto ristorante di pesce di via Giulia, molto frequentato dai vip e non solo, l'8 novembre 2013 una cimice, piazzata dalla Dia nell'ambito di un'indagine su un presunto riciclaggio, aveva intercettato una conversazione tra Alberto Dell'Utri, il fratello dell'ex senatore del Pdl fuggito e arrestato a Beirut, e l'imprenditore Vincenzo Mancuso, che faceva presupporre che Marcello Dell'Utri fosse in procinto di lasciare l'Italia. A svelare il piano fu proprio quella cimice nascosta tra le poltrone dell'Assunta madre: "Il programma è quello di andarsene in Libano", aveva rivelato al suo interlocutore il fratello dell'ex senatore condannato per mafia, di fatto anticipando il piano di fuga che Dell'Utri ha messo in pratica alcune settimane fa.
...continua a leggere "Suburra e il ristorante dei vip finito nel caso Dell’Utri"

Matteo Renzi«Renzi, al solito, vende fumo». Così Aldo Giannulli, ricercatore in Storia contemporanea all’Università di Milano, già consulente di diverse procure e della Commissione stragi, bolla dal suo blog l'operazione trasparenza sulle stragi promossa dal Governo. Giannuli è uno dei massimi esperti del settore e oltre a essere autore di diversi saggi sul mondo dell'intelligence e colui che nel 1996 scoprì, sulla via Appia, il famoso deposito segreto dei fascicoli dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale.
L'esperto, commentando la decisione del governo di declassificare i documenti riguardanti le stragi di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna e rapido 904, afferma che si tratta di «chiacchiere», perché, innanzitutto, «già da una ventina di anni, il segreto di Stato non è opponibile alla magistratura che procede per reati di strage o eversione dell’ordine democratico». Di conseguenza, spiega Giannuli, la magistratura, «sia direttamente che tramite agenti di pg e periti, ha abbondantemente esaminato gli archivi dei servizi e dei corpi di polizia, acquisendo valanghe di documenti che sono finiti nei fascicoli processuali».
Anche le Commissioni parlamentari che si sono succedute, sul caso Moro, sulle stragi, sul caso Mitrokhin, «hanno acquisito molta documentazione in merito (anche se poi è finita negli scatoloni di deposito e non in archivi pubblici)». E una larghissima parte di questi documenti «finita nei fascicoli processuali e nelle commissioni di inchiesta è stata resa consultabile dalla “Casa della Memoria di Brescia”, dove chiunque può accedere, e dalla Regione Toscana (strano che Renzi non lo sappia)».
Inoltre la stessa documentazione, già a suo tempo, fu acquisita dai magistrati e consultata dai giornalisti «che l’hanno avuta dagli avvocati delle parti ed è finita in migliaia di articoli». «Diversi consulenti parlamentari e giudiziari (a cominciare dal più importante, Giuseppe De Lutiis a finire al sottoscritto) - prosegue Giannuli dal suo blog - hanno successivamente utilizzato abbondantemente quella documentazione per i loro libri».
Dunque siamo alla “quinta spremitura”. «Viceversa - va avanti il ricercatore -, restano ancora da risolvere i problemi degli archivi inarrivabili e per i quali occorrerebbe far qualcosa per renderli accessibili: quello della Presidenza della Repubblica che ha sempre rifiutato ogni accesso, per quanto minimo, alla magistratura in nome dell’immunità Presidenziale. Quello dell’Arma dei Carabinieri (alludiamo all’archivio informativo, non a quello amministrativo) che non si capisce dove stia. Quelli delle segreterie di sicurezza dei vari enti e dei relativi uffici Uspa (Ufficio sicurezza del Patto Atlantico, ndr) che sono protetti dal segreto Nato».
Renzi secondo Giannuli dovrebbe «invitare il Capo dello Stato a valutare l’opportunità di rendere accessibile il proprio archivio oltre le carte del Protocollo attualmente visibili; chiedere all’Arma dei carabinieri un rapporto ufficiale sulla sistemazione dei propri archivi informativi; porre in sede Nato la questione del superamento del segreto dopo un congruo periodo di segretazione. Per esempio, poco dopo la “rivoluzione dei garofani” in Portogallo, la Nato avocò a sé tutto il materiale della e sulla Aginter Press: possiamo vederlo?».
Ma soprattutto, ricorda Giannuli, andrebbero adottati i regolamenti attuativi della legge 124 del 2007. «Se il Presidente del Consiglio vuol fare sul serio - conclude Giannuli - è bene che si ricordi che il suo ente è in ritardo di anni su precisi impegni presi. Nel 2007, per far digerire quell’orrore di legge di “riforma” sui servizi, venne inserito un complicato sistema che avrebbe dovuto assicurare la decadenza automatica della classifica di segretezza dopo un certo periodo; premessa necessaria per poter inviare i documenti agli archivi di Stato (non solo quelli sulle stragi ma tutti). Però occorreva prima fare i regolamenti attuativi: stiamo ancora aspettando questi regolamenti dopo sette anni. Poi il governo Monti promise che entro il 2012 avrebbe comunicato l’elenco dei vari archivi esistenti con le diverse sedi dei depositi (cosa che non è stato mai possibile avere). E stiamo aspettando ancora anche questo elenco. Se la sente Renzi di fare sul serio - chiosa - o è solo fumo elettorale?».

di Fabrizio Colarieti